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    Conte deve rompere con Grillo e farsi il suo partito: così il centrosinistra avrà la terza gamba

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 27 Giu. 2021 alle 12:44

    Mentre tutti gli osservatori in queste ore si chiedono “come” farà Giuseppe Conte a ricucire lo strappo con Beppe Grillo, a me sembra più opportuno provare a spiegare perché l’ex premier questo strappo dovrebbe renderlo al più presto definitivo. Conte dovrebbe davvero approfittare di questa occasione per varare una sua lista personale.

    Sarebbe un bene per lui, ovviamente, ma anche per tutta la coalizione: con una nuova gamba i giallorossi aumenterebbero lo spettro della loro offerta politica, potrebbero attrarre elettori che oggi non si riconoscono in nessuno degli attuali partiti: né i due maggiori, né tantomeno le poltiglie renziane e centriste.

    Conte, oggi, dentro il M5S è costretto a mille compromessi che rendono difficile l’esplicitazione piena della sua leadership. Conte, oggi, fuori dal M5S è nelle condizioni ideali per portare un valore aggiunto.

    Lo show con sberleffo di Grillo contro “l’ex premier – con tanto di foto posata in mezzo ai parlamentari (con lo statuto del contendere stretto in mano e brandito, come uno scalpo) – non è stato un semplice episodio, o una boutade, ma segna un punto di non ritorno: è la fotografia di un tentativo di fissare un rapporto di forza e di sottomissione.

    Il padre e padrone del M5S si è ripreso la sua creatura e si è fatto interprete di tutte le correnti impazzite che, oggi, dentro il movimento, per un motivo o per un altro, non vogliono nessuna leadership.

    Un vero e proprio vaso di Pandora a cinque stelle in cui tutti sono contro tutti: c’è chi vuole cambiare la regola dei due mandati (come proponeva Conte) perché altrimenti dovrebbe lasciare, chi la vuole mantenere a tutti i costi (ma solo perché, mandando via i più anziani avrebbe più possibilità di essere eletto), chi ha aderito alla proposta scissionistica di Davide Casaleggio, chi se n’è andato nel gruppo misto perché è stato espulso da Casaleggio, chi perché è stato espulso da Luigi Di Maio, chi da Vito Crimi. Molti ci sono finiti solo perché non volevano pagare le quote. Molti sono ancora dentro il movimento, ma in ogni caso non vogliono pagare le quote (perché sanno che non verranno rieletti). Alcuni non pagano le quote per dissenso politico, altri per fare i furbetti, altri ancora per entrambi i motivi.

    Qualcuno sogna un nuovo M5S cresciuto dopo l’esperienza di governo. Qualcuno vuole un nuovo M5S che azzeri l’esperienza di governo. Tutti questi differenti stati d’animo – antitetici tra loro, dal ribellismo al governismo – si sono catalizzati durante lo show di Grillo in un inconfessabile sentimento di nostalgia, nella speranza di poter tornare ai bei tempi dei mille “No” e dei tanti “Vaffa”. Ma questa nostalgia è un inganno.

    Il Movimento non potrà mai tornare quello di prima, non ci si può tuffare due volte nello stesso fiume. Il punto vero di rottura tra Grillo e Conte non è dialettica, è politica. L’ex premier ha capito la cosa più importante. E cioè che, stretto nell’abbraccio di quello che non potrà più essere, con l’apparente conforto di questo sentimento di nostalgia per quello che non sarà mai più, il Movimento muore.

    Non c’è più spazio per il ritorno ai bei tempi del “Vaffa”: la “scatoletta di tonno” (per stare ad una delle metafore più celebri di Grillo) è stata aperta dall’apriscatole della protesta, e adesso – dentro – ci sono i ministri e gli eletti pentastellati. L’assalto dei Grillini “al Palazzo” non è più possibile, perché adesso nel Palazzo ci sono loro.

    Quello che è più difficile da capire, poi, è che anche gli elettori sono cambiati: i barbari hanno conquistato le cittadelle del Potere, e questo – come ai tempi dell’Antica Roma – li ha mutati per sempre. La pandemia ha cambiato le esistenze, le domande, i bisogni della protesta, anche di quella più radicale: gli elettori che gonfiarono le vele della grande contestazione, in nome dei valori, adesso hanno bisogno di una grande ricostruzione, che avvenga in nome degli stessi valori.

    Non vogliono più il nome di un ministro da appendere in piazza. Vogliono un ministro che faccia cose diverse, ad esempio che difenda gli interessi collettivi e un modello di sanità diverso nel nome delle loro esigenze. Il reddito di cittadinanza è già arrivato – bene o male – e adesso l’Italia è quella dei mille cantieri che sorgono in nome dell’ecobonus al 110%, grande intuizione del Governo Conte (di cui purtroppo nessuno dei dirigenti Pd e M5S parla).

    Ecco perché quella sfuriata di Grillo non è stata frutto del caso: è la tentazione del fondatore di usare il simulacro di Conte come un catalizzatore per tornare agli spiriti ribelli delle origini. E, nella sua conseguenza subordinata, per condizionarlo e limitarlo nella sua opera di rinnovamento.

    Il ché sembra addirittura puerile: un partito della rabbia in Italia c’è già: un partito di lotta e di governo ha già rubato i suoi voti al vecchio M5S, un partito che quando diceva i suoi No riusciva miracolosamente a tenere insieme tutto e il contrario di tutto. Questo partito si chiama Lega. È il partito più antico della politica italiana, ed è una forza che è abituata a gestire i suoi contrari.

    Anche il partito della coerenza intransigente c’è già: ha detto che stava all’opposizione e ci è rimasto. È il partito di Giorgia Meloni.

    Certo, se nasce la lista Conte, il M5S resta come una bad company in mano a Grillo, ma avrebbe comunque uno spazio politico, anche se più marginale. Potrebbe raschiare qualche mollica di consenso tra gli arrabbiati di sempre. E, se è vero che un partito riformista e progressista in mano a Conte ruberebbe voti sia ai Grillini residuali che al Pd, non c’è dubbio che questa formazione sarebbe in grado di contendere voti (anche al centro) che adesso la coalizione giallorossa non riesce ad intercettare.

    Ed è questa – direbbe Bersani – la nuova “mucca nel corridoio” che i dirigenti dei due partiti cardine della coalizione oggi non riescono proprio a vedere. Il centrodestra sta vincendo la partita del dopo-pandemia: sta vincendo nella società, nei sondaggi, e persino nel Palazzo, dove offre a Mario Draghi un gioco di sponda e una candidatura al Quirinale. Serve dunque la capacità di sparigliare, per poter cambiare l’offerta, per poter aderire alle nuove esigenze.

    Serve l’opportunità che Grillo, con il suo show megalomane e distruttivo, ha inconsapevolmente offerto. Altrimenti, anche questo compiaciuto attardarsi crepuscolare nella gestione di una piccola rendita di poltrone e di governo resterà come un ballo sul ponte del Titanic. L’ultimo inebriante giro di danze, mentre la nave affonda.

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