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    Il mio ritorno a Parigi due anni dopo (di V. Magrelli)

    Di Valerio Magrelli
    Pubblicato il 3 Dic. 2021 alle 16:16 Aggiornato il 3 Dic. 2021 alle 16:21

    Sono tornato all’estero dopo due anni, con l’emozione della prima gita scolastica. Parigi! Pochi giorni e molte mostre, tre delle quali, per una bella coincidenza, perfettamente allineate. Si tratta di altrettante collezioni private, assai diverse tra loro ma tutte allestite in luoghi interessantissimi.

    La prima, accolta nello splendido museo realizzato da Frank Gehry per la Fondation Vuitton, presenta le opere raccolte prima della Rivoluzione del 1917 dai fratelli Mikhaïl e Ivan Morozov, industriali russi che primeggiarono – leggiamo – nell’imprenditoria tessile fino a creare un vero e proprio impero economico. L’insieme di quadri raccolti da questi mecenati si caratterizza per una assoluta unità di tempo e di luogo: accanto ad alcune opere di pittori russi realisti e simbolisti (17 su 47) troviamo capolavori dell’impressionismo e del cubismo francese, da Monet, Manet, Re- noir, Cézanne a Degas, Gauguin, Van Gogh, Picasso.

    La seconda esposizione si svolge invece nella vecchia Bourse de Commerce, completamente ristrutturata da Tadao Ando per la fondazione di Pinault. Siamo in un edificio costruito nel Settecento come deposito per il grano e trasformato nell’Ottocento in Borsa di Commercio.

    In un magnifico spazio consegnato al pubblico dopo cinque anni di lavori, troviamo una vasta scelta di artisti contemporanei, tra cui spiccano Urs Fischer, Maurizio Cattelan, Rudolf Stingel e Kerry James Mashall. In questo caso all’unità di tempo (con autori per lo più viventi) non corrisponde più alcuna unità di luogo, in una carrellata di nazioni che copre praticamente l’intero pianeta. Anche la terza mostra ha a che vedere con un nuovo spazio: questa volta si tratta dell’antico Hotel de la Marine, che si visita nella sua interezza ma che ha riservato (dietro lauto compenso) quattro sale del primo piano allo sceicco Ha- mad Ben Abdullah Al Thani, cugino dell’emiro del Qatar.

    Rispetto alle due precedenti, la sua collezione risulta certamente la più singolare. Infatti, oltre al “puro” criterio del pregio, nessun parametro, né di tempo né di luogo, viene rispettato. In un’intervista a Le Monde, Amin Jaffer, consigliere artistico dello sceicco (e già collaboratore del Victoria & Albert Museum di Londra, nonché della casa d’aste Christie’s) ha spiegato come si possano ammirare, l’uno accanto all’altro, una figura femminile neolitica proveniente dall’Anatolia e una maschera maya, una regina guerriera del Benin e un elfo barbuto dell’Iran settentrionale: tutti reperti che coprono diverse migliaia di anni.

    La sistematica soppressione di ogni riferimento all’originario contesto storico o culturale rende la visita piuttosto inquietante. Sembra di assistere alle Olimpiadi del Bello, con tante differenti civiltà in gara per aggiudicarsi una specie di titolo mondiale. Insomma, la globalizzazione è arrivata fin dentro il sacro regno dell’estetica.
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