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    Ragazzo bastonato perché nero, la ferocia delle parole sta avvelenando il Paese

    Foto di repertorio
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 22 Set. 2019 alle 19:40 Aggiornato il 27 Set. 2019 alle 16:20

    Ragazzo bastonato perché nero, il caso

    Un altro. Pestato perché nero. Prima insultato, poi malmenato e infine bastonato con spranghe di ferro, in una progressione di violenza che alla fine è tutta sulla faccia del ragazzo 24enne nigeriano che viene soccorso da alcuni passanti che l’hanno bendato come potevano in attesa dell’arrivo di un’ambulanza. Gli aggressori hanno 18 e 17 anni e forse sarebbe il caso di guardarci negli occhi, fuori dall’agone politico, essere padri responsabili, quelli che dovrebbero tenere in piedi questo Paese e dirci sinceramente, senza accuse, che l’odio che si respira nell’aria è qualcosa che merita una riflessione corale e sociale, una volta per tutte, senza prendersi in giro.

    Che due ragazzi si sentano in diritto di individuare un essere umano per il colore della pelle come obiettivo sensibile della loro violenza puntando su un’accettazione sociale sdoganata dal livore di tutti questi mesi è qualcosa che deborda dal semplice dibattito politico e che entra nell’alveo della disumanità e dell’intolleranza.

    La ferocia che avvelena

    La ferocia delle parole, quelle che continuiamo a prendere sotto gamba quando entriamo nei bar, quando le leggiamo sui social, quando le sentiamo gridate a certe riunioni di partito, quando ci vengono propinate come libertà di espressione nonostante non abbiano niente a che vedere con la libertà, sono la fiele che avvelena un intero Paese. E la violenza che si fa parola finisce sempre, è la Storia che ce lo insegna, per diventare azione: non esiste la separazione tra violenza buona o tiepida e tra la violenza che infligge dolore.

    Si tratta semplicemente di un percorso che una volta innescato diventa ostico fermare, una discesa verso gli inferi che diventa frana per rotolamento e sottovalutarla è una colpa. Qui non si tratta, badate bene, di avere legittime opinioni diverse sull’immigrazione e sull’integrazione: nel momento in cui un essere umano viene considerato inferiore per un motivo qualsiasi allora il dibattito non è più civile, è qualcosa che ha a che fare con la ferocia e basta.

    Se fossimo un Paese serio, un Paese maturo, ci svestiremmo dai panni dei tifosi del leader di turno, ognuno il suo, e riconosceremmo che una condanna ferma a chi esce dai limiti dell’umanità, oltre che della legalità, è un virus che avvelena tutto quello che siamo, tutto quello che saremo, e infanga quello che siamo stati.

    Ci sono casi di cronaca che, se ripetuti, meritano di diventare occasioni di riscatto generale. Per tutti. Da parte di tutti.

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