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    Altro che patrimoniale: la crisi non si combatte con nuove tasse, ma riformando davvero il Paese

    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 13 Apr. 2020 alle 16:05 Aggiornato il 13 Apr. 2020 alle 16:23

    In un momento di piena crisi economica, sanitaria e sociale, le proposte che arrivano dalla classe politica e para-politica ricalcano perfettamente le ragioni del declino italiano. Da un lato abbiamo Meloni e Salvini e le proposte di contributi a pioggia, senza alcuna logica o sostenibilità, dall’altro abbiamo Del Rio (PD) con l’idea di una tassa aggiuntiva per i redditi sopra gli 80.000 euro, e Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, “prezzemolino” e la sua innovativa proposta di effettuare un prelievo forzoso sui conti correnti dei cittadini italiani.

    In modo diverso, queste proposte sono indice di uno stesso fenomeno: una cultura economica estremamente superficiale e uno smodato desiderio di colpire la “pancia” degli italiani, con proposte irrealizzabili, che portano presunti effetti positivi nell’immediato, ma devastanti nel medio-lungo periodo.

    Si tratta di due facce diverse di uno stesso populismo, costruito sui sentimenti più che sui numeri, da un lato la paura, coltivata dai sovranisti, e dall’altra l’invidia sociale, valorizzata dalle proposte anti-impresa.

    Oltre i sentimenti, e i titoli sui giornali, però, ci sono poi le conseguenze. Se ci concentriamo sulle proposte di prelievo forzoso e di nuove tasse, possiamo rivedere le dinamiche che animavano chi ha varato la tassa sugli yacht, fatta passare come un’imposta di solidarietà, rivelatasi in una Caporetto industriale che ha colpito il settore della nautica e il suo indotto con licenziamenti e fallimenti per centinaia di milioni di euro.

    La necessità per il nostro Paese, di reperire miliardi di euro per far fronte all’emergenza Covid-19 è reale, ma se l’Italia oggi è arrivata ad un rapporto Debito/PIl del 132%, secondo in Europa solo alla Grecia, non è possibile incolpare e punire la classe imprenditoriale italiana o gli stessi lavoratori.

    I problemi economici dell’Italia presentano un origine strutturale, i cui effetti non possono essere risolti applicando nuove tasse, e inviando continui segnali di incertezza ai mercati e ai consumatori. Eppure strumenti normativi per acquisire fondi esistono: dalla riduzione della spesa improduttiva, a riforme strutturali come quella della giustizia, del fisco e dei servizi, oggi più che mai urgenti e necessarie.

    Per incrementare il gettito fiscale, negli ultimi anni sono state presentate alcune timide proposte di legge che prevedono la legalizzazione della prostituzione (legale in paesi come la Svizzera, la Nuova Zelanda, la Germania o la Danimarca), che porterebbe decine di miliardi di Euro, e della legalizzazione della marijuana, con effetti stimati in 9 miliardi di euro di gettito diretto all’anno. Eppure nessuna di queste proposte ha visto la luce.

    Che si tratti di riformare la pubblica amministrazione, di ridurre la spesa improduttiva grazie a tecnologia, merito ed efficienza, o di aumentare il gettito con riforme strutturali, sono tante le strade che potrebbero rivelarsi più efficaci rispetto a quelle proposte da Del Rio e Farinetti.

    Prima di chiedere ulteriori sforzi alla classe imprenditoriale e ai lavoratori italiani, la classe politica dovrebbe interrogarsi su questo: quali sforzi sono stati fatti dallo Stato per sostenere lo sviluppo economico del Paese? Quali sono ancora possibili? Se la risposta è nuove tasse e prelievi forzosi, vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa.

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