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    Bimbo morto al confine tra Bielorussia e Polonia. I “bla, bla, bla” dell’Europa non sono solo sul clima

    credit: ansa foto
    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 20 Nov. 2021 alle 10:42 Aggiornato il 20 Nov. 2021 alle 11:22

    Forse per capirlo devi aver toccato la sofferenza con mano, devi aver salvato centinaia di persone sgomitando tra la vita e la morte di chi ha affrontato viaggi inenarrabili per trovare un’altra terra in cui vivere, ma quello che sta accadendo al confine tra Polonia e Bielorussia non è solo l’ennesimo segno che l’Europa e il suo sogno sono stati sepolti dagli interessi delle parti, è qualcosa di più profondo che ha a che fare con la vergogna di assistere alla morte del diritto restando inerti.

    Da quando è iniziata la crisi migratoria tra Polonia e Bielorussia sono almeno 13 le persone morte di cui un bambino siriano di appena un anno. Quel bambino, che da oltre un mese e mezzo si nascondeva nelle foresta di un lembo di terra, è morto per il freddo mentre migliaia di persone restano nelle mani di governi che le usano per sporchi giochi di potere.

    L’Europa senza frontiere, il Continente che accoglie e protegge dove i diritti umani vengono prima di tutto. Che ne è di quella promessa? Non possiamo smettere di chiedercelo perché gli occhi bagnati dalla commozione di circostanza non salveranno altre vite. Non metteranno fine al solito balletto di pedine che questa volta non si consuma in un Mediterraneo affollato di morti, ma ai confini di un’Europa troppo vicina. La nostra.

    Il dittatore bielorusso Lukashenko cerca di destabilizzare l’Europa validando l’idea per cui migliaia di persone resteranno settimane, se non mesi, ai confini con un Paese che dimentica i suoi valori cristiani e ancora prima gli impegni presi con il resto dell’umanità. Gas lacrimogeni e cannoni ad acqua: questo è la nuova idea di salvaguardia dei confini. È la politica, sono le geostrategie a cui dobbiamo ormai abituarci, dirà qualcuno.

    Perché sì, di ricatti e giochi sulla pelle di persone disperate e disperanti ne abbiamo già visti parecchi. E su questo il buon Erdogan può insegnarci molto. L’Europa negli anni ha fatto poco niente, frammentata e debole, invisa di un egoismo sovranista che non ha permesso alcun progetto o visione globale in grado di pensare al futuro reale. Le guerre, i cambiamenti climatici e cicliche crisi economiche non potranno che prolungare questa che tutti chiamano “crisi migratoria”. Una situazione strutturale, piuttosto, che andrebbe affrontata per quello che è, senza cadere nel giogo di questo o quel nuovo dittatore.

    A noi cittadini votanti restano i “bla, bla, bla” dei politicanti che provano a fermare il vento con le mani. A loro, a coloro i quali spetta affrontare mari, montagne, freddo e arsura per non essere nati dalla parte giusta del mondo resta ancora meno. Forse nemmeno la speranza.

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