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    Discutere di Letizia Moratti per la sinistra è un segno dei tempi. Pessimi

    Dopo quasi 30 anni di stretti legami a destra, con beneficio di cariche e poteri rilevanti, la sciura Letizia è incredibilmente diventata un'opzione per il Pd. Ecco perché votarla sarebbe impossibile

    Di Rinaldo Gianola
    Pubblicato il 19 Nov. 2022 alle 15:39

    Niente da fare, non si può scappare, a Milano tiene banco Letizia Moratti. Più della “prima” del Boris Godunov alla Scala con le proteste ucraine seccamente respinte, della riapertura del Sant Ambroeus (risottino e sciure col filo di perle, magari incontri Urbano Cairo) o dell’ansia per il Black Friday che ormai dura settimane perché bisogna pur fatturare, domina la signora Letizia Brichetto Arnaboldi, aristocrazia vera, sposata Moratti, petrolieri e interisti.

    Dopo quasi trent’anni di stretta frequentazione della destra, con il beneficio di cariche e poteri rilevanti (presidente della Rai, ministra due volte con Silvio Berlusconi, sindaca di Milano, vicepresidente della Regione Lombardia) Letizia Moratti, come Biancaneve, s’è destata e assicura di non essere più in sintonia con i suoi ex amici, una serie di mostri politici con i quali ha condiviso le vessazioni inflitte a questo Paese. Una separazione certo influenzata dal fatto che Salvini Berlusconi e Meloni non vogliono candidarla in Lombardia al posto del leghista Attilio Fontana.

    Il rifiuto ha scosso l’anima progressista, finora sconosciuta, di Letizia Moratti che ha scoperto di non poter stare con quei ceffi. Ecco allora la clamorosa rottura, subito sfruttata da Calenda&Renzi che perseguono l’obiettivo di svuotare il Pd, di renderlo inoffensivo più di quanto non abbiano già fatto i suoi segretari. Moratti ha invitato il Pd a “unire i riformisti”, proprio così.

    Invece di rispondere “No, grazie, come se avessi accettato”, molte anime belle, comprensibilmente stanche di vedere ciellini e leghisti al vertice della Lombardia, hanno aperto il cuore per sostenere, come scrive Natalia Aspesi su Repubblica, “la vedova di un petroliere, una che alle inaugurazioni della Scala svettava da sindaca di Milano, più bella che in foto, e tutta in nero Giorgio Armani”. Anche se non s’è mai capito se i vestiti glieli regalava il marito o erano prestati dallo stilista milanese.

    Andrée Ruth Shammah, settore teatro, cultura e piscina, inquadra la novità politica in uno scenario in cui addirittura “la sinistra si è completamente appiattita sulla sinistra estrema, si è dimenticata del centro sinistra”. Il maestro di trasformismo Bruno Tabacci, nato e cresciuto Dc, passato da Pisapia, Bonino e finito con Di Maio, rivendica di aver “suggerito a Letizia Moratti di fare dichiarazioni” per allontanarsi dalla destra, anche se ammette “ora è troppo tardi” per stanare il Pd.

    Sul Corriere della Sera, che sogna Moratti a Palazzo Lombardia al pari d’interessi industriali e finanziari, anche Nando Dalla Chiesa (pure tu, Nando!) apre, forse per disperazione, “alla mossa del cavallo”, cioè sosteniamo la signora Letizia per battere la destra con una candidata di destra.

    L’editorialista Antonio Polito, che pure è stato comunista e qualche cosa dovrebbe aver imparato, non si dà pace del “(pre)giudizio” che la sinistra nutrirebbe verso la candidata considerata di “centrodestra”, come se fosse “un tratto antropologico, una tara genetica, dalla quale non si può guarire neanche lasciando pubblicamente e fragorosamente la parte politica in cui si è militato”.

    Anche nel Pd, Moratti trova consensi. Si è esposto l’ex senatore Luigi Zanda. “Non conosco Letizia Moratti” ha detto a TPI, ma bisogna votarla perché se vince la destra in Lombardia e Lazio “sparisce l’opposizione”. Altri, orfani di Renzi, simpatizzano per questa linea, stanno in silenzio in attesa di regolare i conti. Anche il candidato semi-unitario per la Regione Lazio Alessio D’Amato si è schierato per “l’ottima candidata in Lombardia”, suscitando una bagarre immediata.

    Negli ultimi venticinque anni in Lombardia tutti i candidati progressisti hanno perso: Diego Masi, Riccardo Sarfatti, Filippo Penati, Umberto Ambrosoli, Giorgio Gori. La lezione non è servita. Il Pd, anche questa volta, sale sul ring come un pugile suonato, incapace di selezionare e proporre per tempo un candidato, di definire una propria identità, sempre a rimorchio di possibili e improbabili alleati. Che si discuta di Letizia Moratti come opzione per la sinistra è un segno dei tempi, pessimi.

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