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    Elogio degli impacciati, simbolo dell’opposizione culturale al bullismo salviniano

    Sergio Echamanov e, a destra, Matteo Salvini
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 17 Gen. 2020 alle 11:40 Aggiornato il 17 Gen. 2020 alle 11:49

    E invece è il tempo dell’elogio degli impacciati, di quelli che si espongono sapendo di dover esibire tutte le proprie difficoltà senza nessuna remora, anzi dicendo “sì, questo sono io, sono quello che che dico e quello che faccio e quello che penso e sono tutto intero con tutte i miei difetti e con tutti i miei pregi, complesso come complessa è la realtà che mi circonda e che abito ogni giorno”.

    L’opposizione sociale e culturale al salvinismo che espone alla gogna gli avversari politici (o più banalmente coloro che possono essere intesi come avversari politici) ha bisogno di compiere un passo in più rispetto alla semplice e sacrosanta indignazione.

    Occorre dirsi una volta per tutte che questo bullismo dilagante che si spreme per mostrare tutti forti, tutti perfetti, tutti belli, tutti impeccabili e tutti primi non ha nessuna aderenza con la realtà e non ha nulla a che vedere con il mondo che vogliamo.

    L’impaccio e le oggettive difficoltà di Sergio Echamanov nel suo intervento pubblico sono le risorse di chi vuole vivere in un Paese che ha il dovere di rimuovere gli ostacoli per rendere liberi e uguali i cittadini: l’Italia, quella scritta e pensata nella Costituzione, non è un Paese di numeri primi ma è una nazione di cittadini che si misurano ogni giorno con le proprie difficoltà e con le proprie differenze ed è questa la sua ricchezza, com’è la ricchezza del mondo.

    Il punto è che in Italia, mica solo in Italia, si vota e si insegue chi si vorrebbe essere, nascondendo e nascondendosi ciò che si è, finendo per inseguire un super-uomo che fa sorridere per la goffaggine con cui si propone.

    Il modello dell’uomo vincente alla guida di un popolo spesso sperduto, incagliato, impoverito e umanissimamente strapieno di difetti è un cortocircuito che non porta e non porterà nulla di buono.

    La differenza sta tutta tra chi si accontenta di ricevere quotidianamente una comoda e liberatrice narrazione e chi invece cerca una rappresentanza che sia consapevole e coraggiosa di tutti gli impacci e di tutti gli impicci.

    Quel discorso di Sergio che Salvini ha usato per sfotterlo è, al contrario, un ottimo manifesto politico da cui partire: mostrarsi coraggiosi e fieri delle proprie fragilità è una forza dirompente.

    È il tempo dell’elogio degli impacciati che superano i propri limiti senza nasconderli. Essere forti riconoscendosi fragili è un’esperienza inebriante che andrebbe politicamente condivisa.

    Provateci, è molto meglio del bullizzare quello che temiamo di essere. È questa, la forza.

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