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    Il coronavirus manda nel pallone la Serie A. E se si ammalasse un calciatore?

    Di Giancarlo Padovan
    Pubblicato il 2 Mar. 2020 alle 11:59 Aggiornato il 2 Mar. 2020 alle 12:07

    Non si è giocato. E, quel che è peggio, c’è il rischio che non si giochi nemmeno in futuro, cioè nel weekend di questa settimana. Il problema del calcio italiano non sono (solo) le liti e i contrasti, ma l’incapacità di pianificare un futuro anche a brevissimo termine. Così, causa Coronavirus, tra sabato e domenica la Lega calcio ha rinviato al 13 maggio ben sei partite che si sarebbero dovute disputare a porte chiuse. Comunicazione fatta a mezzogiorno di sabato quando alcune squadre erano già in trasferta.

    Colpa di chi? Ufficialmente del neo presidente di Lega Paolo Dal Pino che avrebbe ceduto alle insistenze della Juventus di Andrea Agnelli, per nulla disposto a giocare Juventus-Inter senza pubblico (cioè senza una spinta rilevante) proprio nella settimana in cui la squadra era stata battuta a sorpresa, in Champions League, dal modesto Lione.

    Così la deve avere pensata anche Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter, quando, a meno di un’ora dalla decisione, ha parlato di “campionato falsato”. Il giorno dopo, cioè domenica, Dal Pino ha replicato a Marotta svelando un dettaglio di grande importanza: “È stato proprio l’Inter ad opporsi allo svolgimento di Juventus-Inter. Noi volevamo giocarla lunedì alle 20,45 con il pubblico, Marotta non ha voluto”.

    Grande è la confusione sotto il cielo del calcio al tempo del Coronavirus. Se, da una parte, il governo ha dato disposizioni perché la serie A e la serie B si giochino senza pubblico, i dirigenti istituzionali e dei club non si rassegnano ad una situazione di grande eccezionalità.

    Tutti dicono che la priorità è la salute dei cittadini, pochissimi in realtà ci credono. L’importante è che lo spettacolo continui e che la propria squadra vinca. Tra l’altro nessuno si cura di uno scenario assai prossimo: che il Coronavirus attacchi uno o più giocatori di serie A o un arbitro o un addetto al Var. A quel punto, con le squadre costrette in quarantena, il campionato in corso rischierebbe davvero di essere sospeso.

    Non si tratta di evocare l’apocalisse, ma di considerare la realtà per quella che è: otto giorni fa un calciatore della Pianese (serie C girone A) è risultato positivo al Coronavirus. E con lui, ad esami successivi, sono risultati contagiati altri tre compagni. Ora si dà il caso che l’avversario affrontato dalla Pianese fosse la Juve under 23 che si allena alla Continassa, cioè dove si allenano anche Sarri e la prima squadra. Il club ha deciso di spostare altrove l’attività della seconda squadra bianconera, mettendo in quarantena tutti i componenti della rosa. Ma non potrebbe essere stato troppo tardi? Per questo ho scritto che il rischio di non giocare anche in futuro è concreto.

    Quanto alle polemiche per le partite rinviate siamo allo scontro di poteri. Ieri, domenica, nella tarda serata è balenata una soluzione per il turno appena saltato: far recuperare l’intera giornata tra sabato, domenica e lunedì prossimi. Juventus-Inter, che è la ragione di tanto scandalo, si svolgerebbe lunedì sera a spalti gremiti. Qualcuno eccepirà: ma il governo non ha dato disposizione che le partite siano a porte chiuse?

    Certo. Tuttavia il presidente della Regione Piemonte, che ha già previsto la ripresa dell’attività scolastica da mercoledì, ha stabilito che già Juventus-Milan di Coppa Italia, in programma mercoledì allo Stadium, si disputi a porte aperte, quindi con il pubblico, fatta eccezione per chi proviene da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

    Nell’assemblea generale di Lega, prevista eccezionalmente a Roma, mercoledì prossimo, prevedo alzate di scudi e fiere opposizioni. Diranno i più: gli stadi devono essere uguali per tutti. Quindi o tutti aperti o tutti serrati. E proprio questo è il problema. Perché in alcune regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) la restrizione continua, mentre in altre non c’è motivo che ci sia.

    Su tutto questo sconcio dialettico e politico s’invola come l’aquila che rappresenta la sua società, Claudio Lotito. Finora i rinvii o le partite a porte chiuse hanno favorito la Lazio, da sabato pomeriggio in testa alla classifica. I due punti di vantaggio sulla Juventus o gli otto sull’Inter sono virtuali (le due squadre devono recuperare rispettivamente una e due partite), ma a livello psicologico la situazione si è ribaltata. La Lazio è davanti e, per riprenderla o superarla, le altre dovranno vincere sempre.

    In queste ore Lotito ufficialmente non parla. È stato il grande elettore di Dal Pino (Lega calcio) e, nonostante tutto, non vuole bruciarlo. Tesse, ricuce, incontra, blandisce, propone. È il presidente della squadra in testa alla classifica: deve rimettere insieme i cocci aguzzi senza rischiare di tagliarsi nemmeno un dito.

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