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    Come difendere dai talebani le donne vittime di abusi (di W. Samadi)

    Di Wadia Samadi
    Pubblicato il 19 Nov. 2021 alle 07:10 Aggiornato il 19 Nov. 2021 alle 10:19

    Mahbouba Seraj è un’attivista afghana per i diritti delle donne che ha deciso di abbandonare le comodità della propria vita negli Stati Uniti e di restare in Afghanistan dopo che i talebani hanno conquistato il Paese nell’agosto scorso. Da anni gestisce una casa rifugio per donne vittime di violenza. Poco dopo la vittoria dei miliziani, la maggior parte di queste strutture è stata costretta a chiudere e le ospiti sono state mandate via. Alcune non avevano un posto dove tornare e altre sono state messe direttamente in prigione dai talebani.

    Così Seraj ha deciso di restare per combatterli e di tenere aperta la sua casa rifugio. «I talebani sono venuti di notte diverse volte, convinti che le ospiti fossero coinvolte in un giro di prostituzione. Ho spiegato loro che la mia casa non è un luogo di malaffare. È un rifugio per le vittime di violenza. Alla fine lo hanno accettato», sostiene Seraj.

    Le case rifugio sono istituzioni di cui si ha un estremo bisogno, come gli ospedali e le scuole. La mia è riuscita a restare aperta e in attività perché ho parlato con i talebani: dobbiamo avere il coraggio di opporci e di insegnar loro a ragionare». La sua casa è arrivata a ospitare decine di donne vittime di abusi. Ma oggi ne conta venticinque. «Negli ultimi mesi non sono arrivate altre ospiti. Quelle poche che hanno chiesto di unirsi a noi erano state cacciate dalle proprie case nelle province più remote e non sapevano dove andare», ricorda Seraj. «Attualmente esistono diciassette case rifugio in tutto l’Afghanistan e la maggior parte di esse si trova nel centro e nel nord del Paese.

    Non ce ne sono molte, invece, nel sud e nelle zone orientali, a causa dell’arretratezza culturale di queste regioni. Le Nazioni Unite stanno tuttora progettando di aprirne una a Kandahar e un’altra a Jalalabad». La casa rifugio mette a disposizione un’infermiera, una psicologa, un’autista e una responsabile delle diverse attività. «Siamo in contatto con vari ospedali e farmacie dove portiamo le donne a curarsi», spiega l’attivista. «Finora non abbiamo avuto alcun problema con i talebani».

    Seraj è determinata a restare a Kabul: «Difenderò sempre le donne. Non tutte sono in grado di andarsene, non possono partire diciotto milioni di afghane». Alla domanda se abbia paura o meno delle minacce dei miliziani, risponde: «Le temo. Ma i talebani che sono venuti a controllare il rifugio mi hanno detto di non aprire a nessuno e mi hanno dato un numero per chiamarli in caso qualcuno venisse a bussare alla mia porta. Ora i talebani devono rendere ufficiale il sostegno alle case rifugio».
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