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    Il centrosinistra ha vinto, ma l’astensionismo record non può far esultare i giallorossi

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 18 Ott. 2021 alle 18:17 Aggiornato il 18 Ott. 2021 alle 18:27

    Il centrodestra ha perso rovinosamente (persino a Varese, nella ex capitale della Lega), ma il centrosinistra non può dire di avere trionfato. Possibile? Se si esamina questo risultato apparentemente univoco si, e provo a spiegare perché.

    Il primo dato è sotto gli occhi di tutti: il centrodestra perde quasi ovunque. E questo malgrado i sondaggi di questa estate (e persino quelli di oggi) riconoscano a quella coalizione una maggioranza dei consensi nei rilevamenti di intenzione per le elezioni politiche. Non solo: a Roma, per dire, i cittadini hanno anche cambiato il Sindaco uscente, ma non hanno scelto l’uomo designato da Berlusconi, dalla Meloni e da Salvini.

    A Milano il medico Bernardo – al contrario del suo collega Michetti – non era nemmeno riuscito ad andare al ballottaggio, quindici giorni fa, nella stessa capitale che fu di Salvini e di Berlusconi. La prima ragione è semplice, e l’abbiamo già raccontata: una classe dirigente locale molto meno credibile e rissosa, e candidati che sono apparsi molto improvvisati, e che spesso arrivavano letteralmente all’ultimo momento, dopo infinite guerre fratricide di coalizione.

    Ma è vero, anche se a prima vista potrebbe sembrare più strano, il secondo punto di analisi, quello che riguarda la sinistra: la “coalizione vasta” che dovrebbe essere in campo alle politiche era sulle schede elettorali in sole due città.

    E in diversi casi – Roma o Milano – alcuni di quelli dovrebbero diventarne a pieno titolo “azionisti”, da Calenda al M5s correvano (sia pure senza fortuna) contro il candidato del Pd. Ma persino i giallorossi non erano uniti ovunque. Dunque, a prima vista, è un ottimo successo del Pd, e di Enrico Letta (che sia pure contestato dalla sua minoranza) ha vinto con tutti i format in cui ha scelto di gareggiare: da solo, alleato con i giallorossi, o alleato nella “coalizione vasta” (in cui ci sono anche i centristi).

    Tuttavia ci sono due “però” importanti. Il primo è il sistema elettorale a doppio turno: a Roma, per dire, senza il ballottaggio, la disfatta di Michetti sarebbe stata una vittoria, risicata, forse, ma inoppugnabile, al primo turno.

    Il secondo problema è l’affluenza: il centrosinistra, che tradizionalmente mobilita uno “zoccolo duro” (l’espressione fu coniata addirittura dal leader del Pds, Achille Occhetto) è spesso tatticamente avvantaggiato nei ballottaggi. Il terzo modo sono le periferie: la scarsa affluenza ha mascherato un dato che in passato è diventato caso politico, e che era visibile anche nel voto del primo turno, ovunque. Il centrosinistra fatica molto nelle periferie, ma siccome nelle periferie si è votato di meno, il peso relativo del cosiddetto partito Ztl sul secondo turno è stato sovrastimato rispetto alle normali proporzioni.

    Quindi c’è un problema di corpo elettorale: si votava nelle grandi città, e in molto capoluoghi, ma c’era un grande assente. La provincia italiana, quella che in questi anni ha massicciamente votato a destra, scegliendo Salvini, e che adesso sembra orientarsi verso la Meloni.

    Infine c’è un dato di coalizione: con il turno unico, più votanti, il Psi della provincia profonda, e i partiti già uniti il centrodestra recupererà parte della sua forza. Anche sul piano delle leadership, qualunque cosa se ne pensi, è più attrezzato a livello nazionale che locale.

    Dopo il primo turno ho scritto su TPI che il primo dato politico del voto, malgrado si votasse per le amministrative è stata l’influenza della pandemia. Anche nei ballottaggi di ieri, probabilmente, ha pesato di più (a Roma e a Torino, per esempio) il potenziale mobilizzante della manifestazione della Cgil (a favore della sinistra) che quello delle piazze No vax (a favore della destra).

    Tuttavia, mettendo sul piatto tutti questi elementi si capisce che nella sfida delle politiche, per vincere, i giallorossi, prima o poi, dovranno affrontare tutte queste contraddizioni. Altrimenti rischia di finire come nel 1993, quando la sinistra alle amministrative vinse tutte le grandi città (con in testa Napoli e Roma) ma poi perse drammaticamente le elezioni politiche, dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi.

    Fra l’altro: la candidatura del Cavaliere nacque proprio in conseguenza di quelle elezioni comunali. Berlusconi aveva stupito tutti con una dichiarazione di voto sul ballottaggio di Roma fatta in un supermercato, a Casalecchio del Reno, e poi (a dicembre) dopo aver incassato un rifiuto di Mariotto Segni, a cui aveva proposto la leadership della coalizione, fondó Forza Italia, costruì una alleanza inedita, e a sorpresa vinse le politiche. Ecco perché, l’anno che separa i partiti dal voto sarà sia allo stesso tempo molto lungo e molto breve. Basta una innovazione, in un campo o nell’altro, per produrre un nuovo terremoto.

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