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    Uso e abuso di Berlinguer

    Matteo Salvini ed Enrico Berlinguer
    Di Roberto Bertoni
    Pubblicato il 10 Gen. 2020 alle 06:55 Aggiornato il 10 Gen. 2020 alle 07:21

    Nei giorni in cui ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, e inevitabilmente se ne parla a più non posso, anche per merito del film di Gianni Amelio interpretato da un magistrale Pierfrancesco Favino, in Emilia Romagna, invece, a tenere banco è lo storico avversario del leader socialista: Enrico Berlinguer.

    Berlinguer, a pensarci bene, oltre a essere l’opposto di Craxi, ne è stato anche la nemesi: assai meno osannato in vita, considerato da molti un ingenuo, anche all’interno del PCI, e spesso finanche irriso per i suoi continui richiami alla questione morale e alla presunta diversità comunista, da morto ha ottenuto un consenso e una popolarità di cui nessun altro personaggio politico attualmente gode.

    Sarà perché Tangentopoli gli ha dato, in buona parte, ragione; sarà perché aveva una visione del mondo chiara e suffragata da un livello culturale di cui ben pochi personaggi politici contemporanei dispongono; sarà perché, non essendo mai stato al governo, ha potuto conservare un’aura quasi mistica; fatto sta che Berlinguer è diventato una sorta di santino mentre Craxi ha subito una damnatio memoriae che va ben al di là delle sue colpe effettive.

    Talmente è diventato popolare, Berlinguer, che persino un personaggio come Salvini, che sta a Berlinguer come un bambino che gioca all’oratorio sta a Ronaldo, in Emilia Romagna non fa altro che citarlo, peraltro spesso a sproposito.

    Salvini è un furbacchione, ormai lo conosciamo. Se va in Campania, strizza l’occhio all’arte di arrangiarsi; se va in Sicilia, non tocca mai temi urticanti come la borghesia parassitaria, il più delle volte non propriamente limpida nelle azioni e nei rapporti; se va in Lombardia o in Veneto, si traveste da industrialista convinto, con qualche venatura liberista; in Emilia, lo abbiamo visto con indosso il dolcevita al posto delle abituali felpe (modello Bertinotti) e con i costanti riferimenti a Berlinguer nei comizi, nel tentativo di non spaventare un uditorio che ha alle spalle sette decenni di militanza o, comunque, di voto al partito di Berlinguer e ai suoi successori.

    Ora, che la sinistra abbia fatto di tutto per dimenticarsi di Berlinguer, disperderne il patrimonio ideale e sminuirne il valore e le scelte è un dato inoppugnabile. Che i cedimenti arroganti al liberismo, in nome di un darwinismo sociale abbracciato acriticamente per vent’anni, l’abbiano resa quasi invotabile è altrettanto assodato.

    Ma che Salvini possa appropriarsi di quella storia e di quella tradizione culturale, declinandola in senso sovranista con qualche venatura di operaismo della domenica, estratto dal cassetto per l’occasione, senza alcuna analisi critica né uno straccio di riflessione storica e valoriale, questo no, non è accettabile.

    E quando Zingaretti lo invita a “sciacquarsi la bocca” prima di pronunciare il nome di Berlinguer utilizza, a sua volta, un linguaggio da comizio e da campagna elettorale ma non ha tutti i torti.

    Non c’è dubbio, infatti, che Berlinguer fosse uno strenuo avversario di Craxi e del suo modello edonista, che fosse un cultore della sobrietà, che aborrisse la società dei consumi in cui l’uomo stesso viene trasformato in merce, che amasse la politica e credesse fermamente che dovesse governare i processi economici e che non avesse alcuna simpatia per la deriva, poi sublimata dal blairismo, che già nei primi anni Ottanta, ai tempi della Marcia dei quarantamila per intenderci, cominciava a intravedersi.

    Tuttavia, non c’è dubbio neanche sul fatto che mai avrebbe tollerato la chiusura dei porti, i migranti lasciati per giorni e giorni in mare con cinquanta gradi o il gelo a bordo e un solo bagno a disposizione, che avrebbe detestato certi atteggiamenti, certe pose e, più che mai, la strumentalizzazione di qualunque tragedia e persino di ricorrenze importanti, quasi sacre, per il nostro Paese.

    E allora, senza voler utilizzare a nostra volta i toni aspri del segretario del PD, ci permettiamo di consigliare al Capitano leghista di lasciar perdere. Citi pure Trump, Putin e gli altri suoi amici e idoli contemporanei, quelli con cui va a braccetto anche se in Europa è sempre più isolato, baci pure i rosari e le croci, dia vita a un’esibizione pseudo-religiosa ai limiti del paganesimo ma lasci in pace Berlinguer.

    Non sappiamo quale partito voterebbe, o di quale partito sarebbe militante e dirigente, oggi Berlinguer ma una cosa è sicura: non consiglierebbe a un solo emiliano-romagnolo e a un solo calabrese di votare per i candidati della Lega.

    E chiudiamola qui, che questa campagna elettorale permanente comincia davvero a stancare.

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