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    Nell’Afghanistan dei talebani anche le banche sono al collasso (di W. Samadi)

    La popolazione, rimasta senza lavoro e quasi ridotta alla fame, non si fida più degli istituti di credito, che non erogano prestiti e non consentono prelievi in dollari. Così gli afghani si affidano a un sistema bancario ombra

    Di Wadia Samadi
    Pubblicato il 2 Dic. 2021 alle 18:09 Aggiornato il 2 Dic. 2021 alle 18:10

    L’Onu ha annunciato limminente crollo del sistema bancario afghano: da quando i talebani hanno preso il potere lo scorso agosto, le banche sono precipitate nel caos perché lAfghanistan è stato tagliato fuori da gran parte del sistema finanziario mondiale e i capitali allestero sono congelati. Anche le sanzioni internazionali hanno contribuito a una grave crisi di liquidità.

    Gli abitanti di Kabul hanno perso fiducia negli istituti di credito e non vogliono più affidare loro i propri soldi. «Non riescono a pagarci in tempo e la gente non si fida. Preferirebbero tenere il denaro sotto il cuscino piuttosto che metterlo in banca», spiega un residente di Kabul.«Ho un conto corrente in dollari statunitensi, ma la banca mi paga in afghani perché non ci sono altri contanti», sostiene un altro. «Lafghano continua a perdere valore nei confronti del dollaro e in banca il cambio è persino più basso».

    Le banche erogano denaro, ma non forniscono altri servizi. I depositi sono scesi dai 2,9 miliardi di dollari dellanno scorso ai 2 miliardi di settembre e, secondo il Programma dellOnu per lo Sviluppo, è atteso un ulteriore peggioramento. I crediti deteriorati sono aumentati dal 30 per cento del 2020 al 57 per cento di settembre. «Le banche hanno smesso di concedere nuovi finanziamenti. Ho una piccola azienda e in passato ho fatto affidamento sui prestiti per mandare avanti la mia attività e pagare gli impiegati», rimarca Mahbooba, unimprenditrice di Kabul.

    Un sistema bancario paralizzato, avverte il Programma dellOnu per lo Sviluppo, potrebbe compromettere lefficacia degli aiuti umanitari. Le imprese rimaste nel Paese continuano a dover affrontare le sfide del sistema finanziario nel mezzo di una grave crisi di liquidità e, di conseguenza, non tutti gli impegni presi sulla base delle donazioni si sono potuti concretizzare. Solo il 10-20 per cento della popolazione afghana ricorre alle banche, il resto si è sempre affidato a un sistema informale basato sullo scambio di denaro, che ha luogo nei bazar. Sarai Shahzada è il più grande di questi mercati di scambio a Kabul e continua a funzionare.

    Le persone che ricevono soldi dai parenti residenti allestero si recano nel bazar per ritirarli. «La Western Union paga solo in valuta locale, la commissione è elevata e così perdiamo molto denaro a causa del tasso di cambio», mi spiega un familiare. «A Sarai Shahzada, invece, ho speso solo 80 dollari per la commissione e ne ho ritirati 3.000 che la mia famiglia mi ha inviato dal Canada». Anche gli afghani che cercano di lasciare il Paese usano i cambiavalute di Sarai Shahzada: il denaro viene custodito e inviato solo quando le persone riescono a uscire dallAfghanistan e a raggiungere la destinazione stabilita.

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