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“Il 110 e lode? Non servirà più”: la nuova proposta del Movimento 5 Stelle

Secondo un disegno di legge dei pentastellati, nei bandi dei concorsi pubblici potrebbe essere inserito il divieto di richiedere il requisito del voto di laurea

Di Marta Facchini
Pubblicato il 5 Ott. 2018 alle 07:00 Aggiornato il 5 Ott. 2018 alle 07:43

Per accedere al mondo del lavoro, laurearsi con il massimo dei voti potrà non servire più. Il M5S, e in particolare la deputata pentastellata Maria Pallini, vorrebbero eliminare il voto di laurea tra i requisiti richiesti per accedere ai concorsi pubblici.

Il 31 luglio 2018 il Movimento ha depositato un disegno di legge che prevede “il divieto di inserire il requisito del voto di laurea nei bandi dei concorsi pubblici” in quanto, secondo chi avanza la proposta, valutare due candidati in modo differente solo perchè uno ha ottenuto un voto più alto dell’altro è un atto discriminatorio.

Secondo il Movimento “oggi soprattutto i giovani necessitano di una riforma che garantisca la possibilità di accedere ai pochissimi e sempre più rari concorsi pubblici senza alcuna discriminazione di sorta”.

Alla base, quindi, non ci sarebbe il tentativo di minare la base del principio meritocratico ma l’idea di rimuovere gli ostacoli che impedirebbero ai giovani di concorrere ad armi pari per raggiungere i pochi posti a disposizione del mercato del lavoro.

Sul caso è intervenuto anche la Pallini, che ha sottolineato come la proposta non contempla la possibilità che sia abolito il valore legale del titolo di studio. L’obiettivo, ha preciato la deputata, è offrire a tutti i cittadini le stesse possibilità, così come sancito dalla Costituzione.

La questione non è affrontata nel patto di governo ma non si tratta di una richiesta nuova nè per i pentastellati nè per la Lega.

Nella scorsa legislatura, il grillino Carlo Sibilia, sottosegretario al ministero degli Interni, aveva sottolineato che “se nel post dopoguerra e negli anni del benessere economico non si riscontravano un numero così elevato di laureati e una così alta percentuale di disoccupati e inoccupati, soprattutto tra i giovani, il predetto sistema di accesso ai concorsi pubblici poteva, anche se discriminatorio, risultare valido”.

Nel 2008 il Carroccio aveva presentato la proposta di legge per “L’abolizione del valore legale del titolo di studio”. L’allora deputato Paolo Grimoldi aveva dichiarato che una simile misura era necessaria per evitare “la meridionalizzazione delle strutture pubbliche”.

“Oggi una laurea presa in una qualsiasi Università italiana ha lo stesso identico valore, ma sappiamo bene che diversi Atenei, soprattutto meridionali, offrono un servizio nettamente inferiore alla media. Questo squilibrio provoca la mancanza di concorrenza tra Atenei, ma soprattutto si ripercuote sul meccanismo dei concorsi pubblici che penalizza sistematicamente chi proviene dalle Università del Nord”, aveva dichiarato Grimoldi.

Lo sforzo della Lega Nord era evitare quella che il partito definiva “una vera e propria colonizzazione che provoca, da parte della popolazione del Nord, grande risentimento verso gli apparati burocratici, ritenuti estranei al corpo sociale”.

La Lega Nord aveva affermato di battersi da sempre per l’abolizione del valore legale del titolo di studio, considerato uno degli ostacoli principali alla “crescita di un apparato amministrativo nel Nord”.

L’accusa: “Oggi una laurea presa in una qualsiasi Università italiana ha una particolare caratteristica che non trova molti riscontri all’estero: il valore legale del titolo. Ai fini di un concorso pubblico, una laurea conseguita a Venezia piuttosto che a Ragusa è del tutto equivalente. Non sono invece equivalenti la qualità della preparazione, il rigore degli studi e la serietà degli esami”.

“Ne consegue che le votazioni di laurea degli studenti iscritti agli atenei del Sud sono di gran lunga più elevate di quelle ottenute dai loro colleghi che studiano nelle università del Nord”.

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