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Strage di Acca Larentia: da Jimmy Fontana alle Brigate Rosse, le incredibili rivelazioni sulla mitraglietta Skorpion usata nell’agguato

La sede di MSI nel Tuscolano poche ore dopo la strage

Il 7 gennaio 1978 due militanti della destra romana caddero morti sotto i colpi di un commando di estrema sinistra rimasto anonimo. Ciò che sappiamo di loro deriva dalla mitraglietta usata per uccidere

Di Gianluca Cicinelli
Pubblicato il 10 Lug. 2018 alle 12:33 Aggiornato il 10 Lug. 2018 alle 14:10

Talvolta, quando non parlano le persone parlano le armi che sono state usate negli agguati. A parlare, nel caso della strage di Acca Larentia è in particolare una mitraglietta.

Una pistola mitragliatrice Skorpion, utilizzata per la strage, ritrovata molti anni dopo in un covo delle Brigate Rosse. Un’arma che ha una storia incredibile.

Posseduta dal cantante Jimmy Fontana finisce nell’arsenale utilizzato dalle Brigate Rosse per molti omicidi. E le perizie compiute nel corso degli anni la indicano come una delle armi che ha sparato per uccidere il 7 gennaio 1978 nella strage di Acca Larentia a Roma.

Con l’avvocato Valerio Cutonilli, autore di un libro inchiesta dedicato all’eccidio del Tuscolano, abbiamo ricostruito l’arzigogolato percorso di questa pistola mitragliatrice.

La video-intervista:

La strage di Acca Larentia non è dimenticata soltanto perchè compiuta nell’anno della strage di via Fani con l’eccidio della scorta e il rapimento di Aldo Moro.

Il 7 gennaio 1978 Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, militanti della destra romana caddero morti sotto i colpi di un commando di estrema sinistra rimasto anonimo ancora fino a oggi.

Il giorno successivo, durante scontri avvenuti con le forze dell’ordine dinanzi alla sede del Msi, dove i camerati delle vittime dimostravano contro la strage, un terzo ragazzo, Stefano Recchioni, cadde sotto i colpi esplosi da un capitano dei carabinieri.

Una mattanza che segnò un’ulteriore balzo in avanti dell’omicidio politico in Italia negli anni Settanta, un episodio che a nessuno piace ricordare. Nonostante decine di pentiti delle organizzazioni armate di sinistra nessuno si è mai attribuito o ha attribuito ad altri la strage di Acca Larentia.

Alla strage bisogna aggiungere un’altra vittima. Mario Ciavatta, il padre di Francesco, si suicidò per il dolore pochi giorni dopo ingerendo una bottiglia intera di acido muriatico.

Le vittime del 7 gennaio furono due soltanto per una casualità. Alle 18,23 di quel giorno, buio invernale all’esterno, Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino stavano per chiudere la sezione nel quartiere Tuscolano.

Gli assassini, un commando di cinque o sei persone a volto coperto, armi in pugno, secondo le testimonianze, li aspettavano fuori per ucciderli tutti. Ciavatta, Bigonzetti e Segneri davano le spalle alla strada. I killer aprirono il fuoco.

Segneri, colpito a un braccio, riuscì a spingere Lupini e D’Audino all’interno e a far scattare la serratura della porta blindata. All’esterno restò il cadavere di Franco Bigonzetti, mentre Francesco Ciavatta che aveva tentato la fuga riuscì a fare solo pochi metri.

Dopo l’ondata iniziale di proiettili gli assassini rincorsero Ciavatta già ferito e gli spararono di nuovo lasciandolo in terra. Morirà poco dopo nell’ambulanza che lo trasportava in ospedale.

La tragica testimonianza dei sopravvissuti aggiunge solo orrore. Sentirono i killer imprecare perché l’agguato non era andato come volevano. Erano usciti di casa per ammazzare più fascisti possibile ed evidentemente due per loro non erano abbastanza.

La rivendicazione ufficiale della strage di Acca Larentia fu fatta tramite un’audiocassetta, ritrovata accanto a una pompa di benzina dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, una sigla che secondo le inchieste successive della magistratura faceva riferimento ai Comitati Comunisti Rivoluzionari.

Non si hanno altre notizie di questa sigla né prima né dopo la strage del Tuscolano e gli inquirenti ritengono in ogni caso che gli omicidi del 7 gennaio 1978 siano da attribuire a un’area politica che si muoveva tra il movimento antagonista di quegli anni, vicino all’autonomia operaia, e militanti veri e propri delle Brigate Rosse.

Di sicuro chi entra nelle Brigate Rosse dopo quegli omicidi porta con sé la mitraglietta Skorpion di cui parla Cutonilli. La strage sembra destinata a rimanere senza colpevoli.

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