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Salvini, Renzi e Di Maio incarnano il vuoto politico di un paese allo sbaraglio

Matteo Renzi, Luigi Di Maio e Matteo Salvini

Il commento di Florenza Loiacono

Di Fiorenza Loiacono
Pubblicato il 28 Ott. 2018 alle 16:56

Un aspetto rilevante che sembra spiccare in questa Italia malandata di oggi è la dimensione del vuoto. Un vuoto estremo e spiazzante, di cui si ha cognizione quando si osserva il modus operandi di questo governo o si leggono le notizie riportate dai media online.

Il paese sembra essere sospeso su una vacuità infinita e illimitata, e per questo estremamente perturbante. Almeno, per chi riesce a coglierla. Per chi ancora sa leggere la realtà senza naufragare nel turbine dei social network, il cui caos si riverbera in forma esaltata sulla scena politica, in un inquietante gioco al rimbalzo tra il “popolo” adorante e i suoi capi. Mentre di mezzo ne va l’intero paese, si assiste nel frattempo alla medesima ridicola pantomima di accuse e minacce, di nemici supposti e vittime d’elezione.

Se da una parte i social sembrano rappresentare il regno di un troppo pieno che surclassa, invade e fagocita le ben più vulnerabili vite umane, che lì disperdono molta parte di se stesse e del proprio tempo, nella nuda realtà dell’esistente si ha l’impressione che la scena politica di questo paese si sia ridotta a niente.

Un niente colmato da una quantità spropositata e inverosimile di sciocchezze e stupidità.

La consapevolezza sembra essere diventata in Italia una virtù estremamente rara, mentre al contrario abbonda il distacco dalla realtà.

Come sospinti da un’onda che conduce sempre più al largo, i ministri e i loro sostenitori trascinano la dimensione pubblica di questo paese sempre più lontano dal reale, secondo un movimento autoindotto, autoesaltato e autoreferenziale del tutto incurante di quanto accade. Il debito? Chi se ne importa. Lo spread? Non è vero. L’Unione europea? Non esiste.

In sostanza, una condizione di voluta follia unita ad una straripante stupidità.

Con buona pace di chi pensa che il proprio pensiero abbia più potere sulla realtà o che la sgradevolezza di certi documenti possa sparire sotto la suola delle proprie scarpe, il reale prima o poi si impone. Una legge inderogabile della nostra vita sulla terra è, infatti, che quanto più la realtà viene negata, tanto più essa si rivelerà con sconcertante drammaticità.

Questa incredibile stupidità, che sembra spandersi ad ogni livello della vita pubblica, e che in senso arendtiano si può intendere come incapacità di riflettere sulle cose del mondo e su stessi, sembra aver guadagnato in Italia un ruolo di tutto rispetto, procedendo con gran dignità, con fare baldanzoso e splendido, tra i politici e la massa.

Basta tirarsi fuori dal fragore e osservare la situazione dall’esterno per rendersi conto di quanto sia straniante questo immane spettacolo, soprattutto osservando la facilità e la dabbenaggine con cui una parte copiosa della cittadinanza si lascia precipitare in questo vuoto, dimentica di se stessa e della propria dignità.

Tutti questi cittadini, presi uno a uno, mai probabilmente vorrebbero essere sospinti verso il crinale di un burrone, preferendo piuttosto scansarlo come la morte, eppure in questo momento storico, pare che in Italia si sgomiti per cadervi dentro.

Forse perché i vuoti figurati, cioè quelli di senso e civiltà, sono più difficili da cogliere rispetto a quelli materiali, che si spalancano sotto ai propri occhi. Eppure anche questi vuoti, cioè quelli dell’assenza della solidarietà sociale, quelli che si colmano di nemici e persecutori, e di realtà farlocche intrise di inganno e menzogna, dovrebbero essere chiari a qualsiasi cittadino attivo in un sistema democratico. Ma evidentemente non è questa la condizione attuale dell’Italia, dove piuttosto predomina il movimento acritico di massa.

Questa dimensione di vuoto e distacco dalla realtà sembra essere impersonata non solo dal premier Giuseppe Conte, che parla della manovra economica in termini estetici, descrivendola probabilmente come farebbe con la Gioconda, o dal ministro Savona, che definisce il condono fiscale un provvedimento di redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri, ma anche e soprattutto dai leader delle tre maggiori forze politiche del paese: Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi.

Essi declinano il vuoto come possono, secondo modalità differenti.

Matteo Salvini, ad esempio, ha fatto del vuoto di pensiero che rappresenta una sorta di cloaca maxima, da cui ogni giorno tracimano cariche e scariche di incitamento all’odio, all’aggressività e alla violenza, sparse ovunque con grandissimo senso di irresponsabilità.

Luigi Di Maio, invece, camuffa l’inconsistenza politica di cui è rappresentante con la pura formalità, con una eleganza ripetitiva e sempre uguale a se stessa. Mai una grinza, mai un dettaglio fuori posto, mai una colpa, rigettata puntualmente su altri, che siano politici o organismi istituzionali.

Matteo Renzi, dal canto suo, rappresenta forse il caso più drammatico dei tre, perché il suo nome è associato ad un partito che si dichiara democratico ma che ormai lo è con evidenza solo nel sembiante. Renzi incarna infatti un vuoto di sensibilità politica che dopo essere stato occultato con la parvenza dell’efficienza e del dinamismo, al momento dello stop si è rivelato per quello che è: una mancanza di visione e di attenzione, di empatia e di immaginazione nei confronti della cittadinanza.

L’immaginazione cioè che intendeva Gramsci, come simpatia umana unita ad una grandissima forza morale. Dispiace dirlo, ma Renzi non ha sentito i bisogni del “popolo” e continua a non sentirli tuttora.

Come scrive Gramsci, se un politico non riesce a rappresentarsi le sofferenze, i dolori, le tristezze della vita dei cittadini, “non si possono intuire i provvedimenti generali e particolari che armonizzano le necessità della vita con la disponibilità dello Stato”. Questo è accaduto con le politiche renziane e di questo Renzi ha pagato lo scotto. Tuttavia, anziché riflettere sul proprio agire,  egli continua ad attardarsi sull’immagine di se stesso.

Matteo Salvini e Luigi Di Maio, da parte loro, intuiscono i bisogni della cittadinanza, ma non per prendersene cura quanto per manipolarli. Questa è la desolante realtà dei fatti.

Dopo anni di scavo in cui in questo paese non si sono costruiti modelli di dignità politica, ecco che questi sono quelli in auge: le mostruose e vacue creature di una voragine etica e culturale, intente più a cogliere i biechi istinti del “popolo” che a lavorare per il bene della cittadinanza, compattando i legami anziché svilirli attraverso la propagazione della superficialità e del disprezzo.

Mentre i ministri Di Maio e Salvini cincischiano sulla realtà ricostruendola in modo artificioso, e mentre quest’ultimo recupera persino in forma parodica e talvolta drammatica il linguaggio e i codici del fascismo per incanalare in essi la rabbia e l’aggressività dei cittadini, Renzi si industria per trovare una formula con cui reinventare se stesso. E così si arrabatta a cercare il format più adatto per sé, per la sua nuova immagine pubblica.

Cerca di trovarlo tra i programmi televisivi con un certo appeal culturale oltre che con audience di tutto rispetto; cerca modelli vincenti per trasporli su di sé, indossandoli poi come se fossero abiti. E così, nelle ultime settimane, abbiamo visto un Matteo Renzi calato nelle vesti di Alberto Angela a presentarci le meraviglie di Firenze, oppure lo abbiamo visto alla Leopolda, a condurre interviste come un novello Fabio Fazio.

Ebbene, così non si andrà molto lontano. Il castello di carte prima o poi cadrà, e allora non resterà altro che il nulla.

Signore e signori di buona volontà, fatevi avanti. Se avete più consistenza di questi miseri personaggi, è davvero arrivato il vostro momento.

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