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Niente risarcimenti per i disagi subiti: la sentenza della Cassazione beffa i pendolari

Di Redazione TPI
Pubblicato il 8 Feb. 2019 alle 19:50 Aggiornato il 8 Feb. 2019 alle 19:52

Era una sentenza attesa da migliaia di pendolari alle prese, tutti i giorni, con ritardi sistematici, precarie condizioni igieniche dei vagoni, difficoltà di trovare un posto a sedere durante il viaggio. Ebbene, tutti questi disagi dei pendolari in treno non violano i “diritti fondamentali” del “rispetto” della persona e della “intangibilità della dignità dei cittadini”.

La terza sezione civile della Cassazione ha così rigettato il ricorso di un professionista, che, ogni mattina, da Piacenza si recava a lavorare a Milano con il treno.

Il ricorrente chiedeva che Trenitalia fosse condannata a risarcirgli i danni “patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali” per la situazione “esistenziale negativa” che i disagi dei viaggi “in carrozze gelide d’inverno e torride d’estate” gli avevano causato, lamentando una “qualità della vita particolarmente peggiorata”.

Inoltre nel ricorso erano citate “stanchezza cronica, ansia e stress, tempo sottratto alla famiglia e al riposo”. E ancora: l’uomo lamentava di essere costretto a viaggiare “in condizioni di scarsa sicurezza” e a “organizzare la propria giornata tenendo conto dell’eventualità di ritardi”.

Il giudice di pace piacentino gli aveva riconosciuto un, seppur minimo risarcimento – mille euro – tenuto conto che il pendolare aveva comunque usufruito di un “bonus sotto forma di abbonamento gratuito”, mentre il tribunale della città emiliana, in secondo grado, aveva rigettato del tutto l’istanza di risarcimento affermando che non fosse provato l’impatto negativo che i disservizi lamentati dal professionista avrebbero avuto sulla sua “sfera di vita”.

Anche la Cassazione ha condiviso la linea del tribunale: richiamando un principio dettato dalle sezioni unite nel 2008, i giudici di piazza Cavour hanno ricordato che per quanto riguarda il danno non patrimoniale, “la tutela risarcitoria è data solo nel caso di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona” e che “sono palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunto, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione concernenti gli aspetti pià disparati della vita quotidiana”.

Ogni persona “inserita nel complesso sociale”, conclude la sentenza “deve accettare, in virtù del dovere di convivenza, un grado minimo di tolleranza”.

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