Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Politica
  • Home » News

    “Siamo stanchi di aspettare ma non ci arrendiamo dopo l’ennesimo rinvio della riforma sulla cittadinanza”

    Credit: Alberto PIZZOLI

    Se oggi ci guardiamo intorno ci ritroviamo al punto di partenza, e la riforma, che doveva rappresentare un elemento di giustizia per un milione di bambini, adolescenti e adulti, giace ancora ostaggio delle dinamiche della politica

    Di Paula Baudet Vivanco
    Pubblicato il 18 Ott. 2017 alle 14:35 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 09:40

    Ci è stato chiesto ancora una volta di aspettare. È quello che è accaduto il 17 ottobre in Senato con l’ennesimo rinvio della riforma della legge per l’accesso alla cittadinanza italiana, nuovamente sprofondata nel pantano della politica. Un pantano in cui dovremmo restare “congelati” mentre senatori e senatrici si dedicano ad altro: ad una delle celebrazioni di Cristoforo Colombo o alla giornata della dieta mediterranea, e dal 24 ottobre alla nuova legge elettorale.

    Ma siamo stanchi di aspettare. Quando eravamo piccoli ci hanno abituati a pazientare, a stare tranquilli e in silenzio, a non disturbare, mentre diventavamo grandi a scuola, insieme a tutti gli altri alunni. Ma se oggi ci guardiamo intorno ci ritroviamo al punto di partenza e l’elemento di novità e giustizia per un milione di bambini, adolescenti e adulti non riconosciuti, la riforma, giace ancora ostaggio delle dinamiche dei palazzi della politica.

    Sono già trascorsi due anni dal voto alla Camera e un anno dalla fondazione del nostro movimento “Italiani senza cittadinanza”, quando manifestammo nelle piazze di diverse città e mostrammo le nostre foto sulle prime pagine dei giornali. Da allora troppo poco è stato fatto. Noi siamo tornati più volte in piazza, l’ultima per il Cittadinanza day del 13 ottobre, insieme agli alunni di oggi, agli insegnanti, ai genitori e alla società civile, davanti alla Camera e a pochi passi da Palazzo Chigi.

    Una grande festa di piazza che invocava da più parti e a più voci il riconoscimento della realtà delle scuole italiane, dove bambini e bambine di diverse origini crescono tutti insieme ma ancora non davvero eguali.

    Da lì abbiamo ascoltato ancora dichiarazioni di buone intenzioni, anche dello stesso presidente del Consiglio, ma il voto “entro l’autunno” si è trasformato in un voto “entro la legislatura”. E si prova da più parti a scaricare le responsabilità, a trovare i colpevoli dell’ennesimo rinvio di una riforma che piace, ma non abbastanza, che interessa i bambini d’Italia, sì, ma che non sono sentiti fino in fondo come propri da chi ne deve decidere le sorti.

    Ci stanno forse preparando al “non c’è abbastanza tempo”, e al ritentate la “fortuna” al prossimo giro? Ma le nostre vite non sono una giostra, non lo sono mai state perché viviamo appesi ad un filo troppo sottile, chiedendo il permesso per ogni giorno trascorso in questo nostro paese.

    Il compito di un bambino, si sa, è quello di crescere. Mentre quello di un adulto è di creare le condizioni migliori per lo sviluppo dei più piccoli e dare il buon esempio. La cosa assurda è che oggi sono gli alunni ed ex alunni a darlo, quel buon esempio, indicando la strada affinché la legge si adegui alla realtà, mentre gli adulti per eccellenza, i senatori e membri del Governo, si rifiutano di crescere, nascondendosi dietro continue giustificazioni.

    Di fronte agli opportunismi elettorali mascherati da paure, noi diretti interessati non resteremo ad affogare nel pantano. Non ci rassegniamo anche perché le nostre voci, unite a quelle di bambini e bambine, rappresentano presente e futuro di un’Italia che è già molto più avanti e che pretende il voto di questa “riforma di civiltà”.

    Un’Italia che continuerà a crescere e che i palazzi del potere dovrebbero imparare a guardare e ad ascoltare da vicino e non a sfinire, di rinvio in rinvio. Il futuro è già qui e non ha più intenzione di nascondersi.

    Paula Baudet Vivanco fa parte del movimento Italiani senza cittadinanza

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version