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Le periferie d’Italia hanno votato No al referendum costituzionale

Disoccupati, redditi bassi e zone disagiate hanno dato un voto contro il governo e la sua riforma

Di Stefano Mentana
Pubblicato il 6 Dic. 2016 alle 17:02

I dati del referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016 mostrano che il voto non è stato una semplice contrapposizione tra il Sì e il No, tra il voler approvare la riforma e il volerla respingere. A questo si è sicuramente sommato un voto politico, dettato da fattori economici e di tenore di vita, che hanno portato il No a essere un voto, in generale, contrario al governo.

Questo fattore è evidenziano dai dati che segnano la profonda differenza in termini di risultato elettorale tra le aree più ricche e quelle più povere d’Italia. Non solo prendendo in esame i singoli comuni, ma anche i quartieri centrali e periferici delle grandi città.

Il primo dato lampante in questo senso lo diffonde il sito Youtrend, specializzato nell’analisi dei flussi elettorali. Secondo il sito torinese, nei cento comuni italiani con il più alto tasso di disoccupazione, il No ha prevalso con il 65,8 per cento (ben sei punti sopra la media nazionale). Nei comuni dove la disoccupazione è ai livelli più bassi, il Sì ha vinto con un netto 59 per cento, quasi venti punti in più rispetto la media nazionale.

Un dato che difficilmente possiamo immaginare essere casuale, e che trova anche altre conferme.

Prendiamo in esame Roma, il cui risultato è stato grossomodo lo stesso di quello nazionale, con il No al 59,42 per cento.

Nella distribuzione dei voti tra i 15 municipi della capitale, il Sì prevale nei municipi I e II, territori che rappresentano le aree più centrali di Roma, con il reddito pro capite più alto. Nei due municipi con il reddito più basso, il V e il VI, il No ha ottenuto il risultato più alto, raggiungendo il 64,93 per cento in V e addirittura il 70,84 per cento in VI.

Discorso simile si può fare anche tra i centri urbani, dove il Sì ha medie maggiori rispetto al livello nazionale, e le zone di provincia, dove al contrario è più basso. Nella capitale, per esempio, il Sì ottiene il 40,68 per cento, mentre a livello di provincia si ferma al 38,05 per cento.

Ancora più lampante è il dato di Milano, dove il Sì vince in città con il 51,13 per cento, mentre in provincia si ferma al 47,38 per cento.

La sovrapposizione del dato del Sì a quello del Partito Democratico nelle ultime tornate elettorali conferma che il voto è stato in gran parte politico. Questo non significa assolutamente che il 40 per cento ottenuto dal Sì – per quanto sia la stessa percentuale ottenuta dal Pd nel 2014 – siano voti su cui quel partito può contare in caso di elezioni. Va detto però che lo zoccolo duro e la gran parte di quelle preferenze è rappresentata dall’elettorato del Pd.

Cosa ce lo dice? Anche in questo caso, la mappa elettorale.

Il Sì riesce a vincere in tre regioni. La prima di queste è il Trentino-Alto Adige, dove il Sì è stato trainato dal sostegno degli autonomisti del Sudtiroler Volkspartei (Svp) e rispetta i rapporti di forza del partito insieme al Pd con gli altri schieramenti.

Le altre due regioni sono state la Toscana e l’Emilia-Romagna, le storiche regioni rosse in cui il Pd è particolarmente forte. Il fatto che qui il Sì abbia vinto dimostra come il suo dato elettorale ricalchi quello del partito, che si è fatto portavoce della riforma bocciata.

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