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“Vi racconto come ho creato il Progetto Erasmus quando l’Europa non esisteva”: Sofia Corradi si presenta a TPI

In Europa ci sono già più di un milione di bambini nati da matrimoni Erasmus ed è solo uno dei tanti piccoli miracoli realizzati dal progetto Erasmus, creato e reso possibile dalla caparbietà di Sofia Corradi

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 8 Gen. 2019 alle 13:51 Aggiornato il 8 Gen. 2019 alle 18:45

Sofia Corradi ha 85 anni, è nata a Roma nel 1934 ed è la donna italiana che rimarrà nella storia per aver rivoluzionato il modello di studio dei ragazzi universitari e aver permesso loro di accedere al programma denominato “Erasmus”, il progetto per l’interscambio degli studenti fra le università europee.

Sofia è una persona caparbia e una delle prime donne italiane che con il suo lavoro e impegno ha dato un forte contributo all’emancipazione femminile e ha reso la cultura lo strumento per una vera crescita intellettuale e sociale delle donne e dei ragazzi in generale.

Per essersi impegnata assiduamente per lunghi anni per convincere i rettori delle università europee ad inserire gli scambi universitari nei programmi di studi è stata soprannominata “Mamma Erasmus”, creando quel programma che ha completamente rivoluzionato la vita dei giovani e contribuendo alla costruzione europea.

Come si apprende anche nel volume “Erasmus ed Erasmus Plus. La mobilità degli studenti universitari”, l’interesse al concetto nodale del riconoscimento accademico degli studi compiuti all’estero nasce in Sofia Corradi nel 1958.

Dopo un anno di studio presso la Graduate School of Law della Columbia University di New York nell’ambito del Programma Fullbright, aveva conseguito il titolo di Master in Comparative Law, ma, tornata in Italia le viene rifiutato il riconoscimento degli studi di diritto ivi compiuti, come equipollenti dei tre esami che le mancavano per la laurea in Giurisprudenza presso l’università di Roma.

La conseguente riflessione sul problema e la consapevolezza di quanto profondamente e positivamente il privilegio di un periodo di vita e studio all’estero hanno inciso su di lei, la portano al convincimento che tale opportunità debba venire estesa alla generalità degli studenti.

Quella dell’Erasmus è un’idea che solo nel 1987 arriva a realizzarsi. Dopo un’interminabile sequela di riunioni, discussioni, incontri, barriere burocratiche. L’approvazione definitiva, con la ratifica del Consiglio dei ministri nel giugno 1987. In quello stesso anno, 3.000 studenti hanno potuto migliorare la loro formazione in un’altra università europea.

La sua famiglia le fa conoscere il piacere del viaggio e della scoperta, poi arriva la possibilità del Programma Fullbright negli Stati Uniti, per lei e sua sorella.

Partire per andare a studiare all’estero, a quei tempi, era un’esperienza molto fuori dal comune, non si usava viaggiare, tutta l’Italia ambiva a ottenere quella borsa di studio e anche mia sorella doveva ottenerla, altrimenti i nostri genitori non ci avrebbero mandato.

Cosa è accaduto?

Dopo aver superato la prima selezione dicevano “una delle nostre figlie, da sola, al di là dell’oceano atlantico non può andare”. Così decidemmo di tentare e parlare con la direttrice delle borse di studio, eravamo timorose ma decidemmo di provare e spiegare la nostra problematica. Contrariamente a quanto ci potevamo aspettare, lei ci ricevette e prese un appunto di questa nostra richiesta. Fortunatamente fummo prese entrambe e fu l’anno che cambiò la nostra vita.

Negli Stati Uniti feci i lavori più disparati e intanto imparavo la lingua e studiavo per gli esami. Tornata a Roma però non mi vennero riconosciuti gli esami che avevo conseguito negli States e così prese forza il desiderio di rendere questa opportunità valida almeno per altri giovani.

Cosa ha rappresentato per lei la cultura?

È stato in primis uno strumento di emancipazione. È l’essenza di tutto. Oggi non è molto risaputo ma la percentuale di studenti che partecipa all’Erasmus è un po’ superiore al 50 per cento, tra questi le donne sono quelle che partecipano maggiormente.

La politica nel tempo si è appropriata dell’espressione “generazione Erasmus”, lei cosa ne pensa?

La politica si appropria delle cose positive e invece se c’è una cosa negativa le lascia in ombra, proprio quelle di cui dovrebbe occuparsi.

Ma esiste davvero la generazione Erasmus, o è una narrazione falsata?

La generazione Erasmus esiste eccome, e meglio di chiunque altro lo sanno quelle persone che hanno bisogno di saperlo, ossia i datori di lavoro. Noi non dobbiamo dimenticare che il datore di lavoro non è un benefattore, acconsente ad assumere qualcuno solo se ha una convenienza economica a farlo. Lo fa perché proprio ne ha bisogno. E la crema delle persone che cercano lavoro sono gli erasmiani, tra i più assunti appunto.

La generazione Erasmus è un gruppo che si è auto selezionato, non è mica obbligatorio farlo, sono i giovani più creativi, più intraprendenti che vogliono provare.

Per riuscire a creare questo programma ci sono voluti anni e ha dovuto affrontare molte difficoltà, crede che se fosse stata un uomo le cose sarebbero state più semplici?

È una domanda che mi sono posta più volte e la risposta è: un po’ sì e un po’ no. Se fossi stata un uomo sarei stata comunque un uomo giovane senza potere. Certo il fatto di essere una donna mi faceva considerare meno che zero, a quell’epoca. Ricordo che più di una volta per riuscire a farmi passare al telefono qualche personaggio importante dicendo che ero la segretaria del professor Corradi, dato in inglese “professor” valeva per maschio e femmina.

Cosa accadeva quando parlava del programma?

Da una parte c’era chi mi diceva che era un’idea assurda, mi consigliavano di lasciar perdere, che le nostre università erano sufficientemente buone e non c’era bisogno che i nostri giovani andassero all’estero per correre dietro alle ragazze di altri Paesi. Dall’altra chi, dopo avermi ascoltato solo per venti secondi, subito capiva, si entusiasmava.

Come ha raggiunto il suo obiettivo?

Sono stata insistente, lo ammetto. La cosa importante era il riconoscimento degli studi esteri, perché altrimenti si ritardava la laurea. Parlavo con le persone e lasciavo un promemoria scritto per illustrare il progetto. Facevo dei promemoria di poche pagine e li passavo al ciclostile. Si doveva dattiloscrivere il testo su una carta ricoperta di cera e questa matrice si doveva passare in una macchina che la riproduceva in tante copie. Io ne facevo tantissime e le consegnavo alle persone che avessero qualsiasi potere.

Quando ha iniziato il progetto l’Europa era diversa, c’era ancora il muro di Berlino.

Sì era diversa. Tutte le volte che io riuscivo a superare un ostacolo riuscivano ad inventarsene un altro. Però quando leggevo sul giornale che c’erano persone, ragazzi, che tentavano di scavalcare quel muro, semplicemente per vivere dall’altra parte della città – desiderio che può appartenere a chiunque di noi – e venivano abbattuti da raffiche di mitragliatrici da guerra che sparavano 10-20 colpi al secondo, mi dicevo che non potevo rinunciare. Leggendo fatti di questo genere, me ne infischiavo che questo o quel burocrate mi diceva di no, volevo fare un altro tentativo e andare avanti.

C’è qualcosa che più di altro le ha dato forza per andare avanti?

Sì, paradossalmente l’esistenza della Guerra Fredda.

In che senso?

Un giorno avevo portato mia figlia dal pediatra. Era in salute e pesava 40 kg mi disse il medico. Allora riflettei su una ricerca che avevo letto esattamente il giorno prima, in base alla quale sul pianeta terra se si calcolavano gli esplosivi preparati dai paesi dell’Est e da quelli dell’Ovest, c’erano 100 kg di esplosivo per persona, compresi i neonati e i vecchi.

Pensai: mia figlia pesa 40kg e ha già pronti i suoi 100 kg di esplosivo. Facciamo un altro tentativo e andiamo avanti col progetto.

Qual è la forza dei giovani studenti Europei di oggi?

I ragazzi hanno delle ricchezze che solo a volerle vedere sono enormi. Trovano il punto comune di intesa meravigliosamente. Hanno fatto delle associazioni, alcune fra studenti della stessa materia, altre tra studenti di qualsiasi materia. Fanno convegni e incontri in qualunque parte dell’Europa.

Cosa pensa dell’Europa che oggi alza muri e barriere e qual è il ruolo dei giovani?

I ragazzi non sono a rimorchio degli adulti, vanno avanti in base alle risorse e alla creatività loro. C’è una cosa su cui occorre riflettere: l’Europa non è perfetta, ma è una cosa umana, e tra le cose umane non c’è nulla che sia perfetto. Anche la democrazia non lo è. Le cose umane difettose si cerca di migliorarle, ma non si buttano via. Io preferisco che siano lenti in Parlamento o che litighino, anche in modo indecoroso, rispetto a una dittatura o a una monarchia.

Il mondo è dei giovani?

Assolutamente sì. Dai loro un piccolo aiuto e loro fioriscono, come le piante.

E cosa serve per fiorire?

Bisogna andare in Erasmus. Come dice quel detto “per diventare adulti bisogna uccidere il padre”. Ovviamente non è da prendere alla lettera, ma l’ Erasmus aiuta ad emanciparsi dal padre senza assassinarlo.

Ho parlato con tante persone che hanno riscontrato il grande cambiamento che subentra in una persona che intraprende l’Erasmus. È un’esperienza che cambia tutto.

In Europa ci sono già più di un milione di bambini nati da matrimoni Erasmus, se ne accorse Umberto Eco. A una conferenza un’erasmiana mi venne incontro con un bel pancione davanti e mi disse: “se nasce femmina, la chiamo Sofia”.

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