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“Noi che abitavamo sotto il ponte crollato: non sappiamo dove i nostri figli dormiranno e andranno a scuola”

Genova: case sotto il ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018. Credit: AFP PHOTO / MARCO BERTORELLO

Gli sfollati di via Porro raccontano a TPI i giorni successivi al disastro e gli anni di disagi patiti per lavori di manutenzione che non sono serviti a niente

Di Emanuela Barbiroglio
Pubblicato il 17 Ago. 2018 alle 11:35 Aggiornato il 17 Ago. 2018 alle 11:41

Nessuno degli oltre 660 sfollati in seguito al crollo del ponte Morandi starà nel centro civico Buranello. Tutti gli abitanti delle case evacuate hanno trovato una sistemazione presso amici o parenti.

Hanno passato le giornate di mercoledì e giovedì in coda per poter accedere ai loro appartamenti accompagnati dai Vigili del fuoco e recuperare medicinali urgenti, documenti importanti e gli animali domestici.

La signora R. è rimasta per ore seduta sul marciapiede con ai piedi un trasportino blu. A 70 anni, preferisce rimanere anonima. Tornavano dalla spesa la mattina del 14 agosto quando la loro auto ha iniziato a scrollare. Poi hanno saputo del crollo e i soccorritori non li hanno fatti rientrare in casa.

Racconta di aver aspettato di recuperare i loro due gatti per tutta la giornata di Ferragosto insieme al marito.

Mercoledì sera i Vigili del fuoco li hanno finalmente portati da loro. Ma alcune persone vengono rimandate indietro perché il loro indirizzo si trova proprio nella zona rossa ed è ancora troppo rischioso passare di lì. Fra loro, Alfonso Saveriano (52 anni) che viveva al numero 8 di via Porro insieme ai figli di 16 e 5 anni e alla compagna di 42.

Il rumore dei lavori di manutenzione sul ponte è sempre stato così forte che alcune famiglie avevano già presentato le loro lamentele ad Autostrade.

“Non potevamo dormire la notte,” dice. “Per non parlare degli altri disagi. A volte i mezzi dei lavori in corso occupavano tutti i posti auto e invece, quando potevamo parcheggiare, trovavamo le nostre macchine coperte di polvere e calcinacci al mattino dopo”.

Le case erano già lì, il ponte è stato costruito sopra di esse. Infatti, uno dei piloni è letteralmente nei giardini fra il numero 7 e il numero 9 di via Porro.

“Quanti anni per pagare questa casa! Ogni centesimo lo mettevo da parte per pagare la casa. Ho investito tutto nella casa e nei miei libri. Avevo una libreria alta, coi libri orizzontali perché non ci stavano più. Chissà se è caduta,” sospira Mirella Deiana (disoccupata, 60 anni) che vive al numero 9. E aggiunge: “Non è vero che non c’era manutenzione. Non so cosa sia successo”.

Giovanni Genco e Daniela Burgio (operaio e casalinga di 50 e 45 anni rispettivamente) abitano all’ombra del ponte Morandi da 25 anni, 19 nella loro casa al numero 14 di via Porro.

“Sono almeno tre anni che non dormiamo la notte,” dice Burgio. “Una notte mi sono svegliata perché una luce fortissima illuminava l’interno di casa nostra. Mi sono stupita che la luna potesse essere così splendente e poi ho capito che erano gli operai che stavano lavorando sul ponte”.

La mattina del 14 agosto erano a casa e sono scappati di corsa senza prendere nulla.

I 660 evacuati stanno ancora aspettando di sapere cosa sarà di loro, ma il il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha parlato in conferenza stampa di 300 immobili che verranno messi a disposizione delle famiglie sfollate.

Eppure Alfonso Saveriano è ancora scettico a proposito delle sistemazioni provvisorie. “Non mi interessa il domani, mi interessa il presente e dove dormiranno e andranno a scuola i miei figli”.

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