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Omicidio Yara: la difesa di Bossetti presenta 23 motivi a sostegno dell’innocenza

Massimo Giuseppe Bossetti

La sentenza della Corte di Cassazione è attesa per venerdì 12 ottobre

Di Enrico Mingori
Pubblicato il 7 Ott. 2018 alle 14:59

Venerdì 12 ottobre 2018 potrebbe arrivare la sentenza della Corte di Cassazione sull’omicidio di Yara Gambirasio. Per quel giorno è infatti in programma l’udienza pubblica nella quale la corte esaminerà i ricorsi presentati contro il verdetto d’appello.

L’unico imputato è Massimo Giuseppe Bossetti, che in appello, il 17 luglio 2017, è stato condannato all’ergastolo

Gli avvocati difensori di Bossetti chiedono l’annullamento di quella sentenza e hanno presentato un ricorso di oltre 600 pagine nel quale sono elencati 23 motivi per i quali il loro assistito è innocente.

I legali contestano diversi elementi sostenuti dall’accusa e, in particolare, la cosiddetta “prova regina” contro Bossetti, ossia il Dna dell’uomo trovato sul corpo della vittima.

I difensori puntano a far riaprire l’istruttoria necessaria a disporre la ‘superperizia’ sul Dna, come già richiesto, invano, fin dal primo grado.

“In questo processo c’è stata mancanza di contraddittorio”, protesta l’avvocato Claudio Salvagni. “La difesa non è stata ascoltata, e anche Bossetti non ha potuto difendersi, perché non è mai stata disposta la perizia sul Dna. Già il tribunale di Brescia, in sede di riesame, aveva parlato di aporie che dovevano essere risolte con una perizia, che pero’ non c’è mai stata”.

Il Dna, secondo la difesa, “non può essere considerato un indizio grave, preciso e concordante”. “Noi abbiamo rilevato ben 261 errori e, soprattutto, manca il Dna mitocondriale”, attacca ancora Salvagni.

Tutte argomentazioni, queste, che nei giudizi di merito sono state respinte: in particolare, nelle motivazioni della sentenza d’appello si rilevava come una ‘superperizia’ sul materiale genetico trovato sui vestiti di Yara Gambirasio “deve ritenersi assolutamente superflua e non necessaria ai fini della decisione”.

Contro la sentenza d’appello ha presentato ricorso anche la Procura generale di Brescia, che chiede soltanto di annullare l’assoluzione pronunciata in entrambi i giudizi di merito nei confronti dell’imputato in relazione al reato di calunnia ai danni di un collega.

Il delitto di Yara Gambirasio

Yara Gambirasio scomparve a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, il 26 novembre 2010. Alle 18:44 Yara uscì dalla palestra dove praticava ginnastica ritmica ma le sue tracce vennero perse poco dopo. Alle 18:49 il suo telefonino viene agganciato dalla cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate, poi il segnale scompare definitivamente.

Il corpo della ragazza venne ritrovato casualmente solo tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, a Chignolo d’Isola, distante 10 chilometri circa da Brembate di Sopra. Sul corpo della ragazza vengono rilevati numerosi colpi di spranga sul corpo, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio sul corpo.

Fu il 16 giugno 2014 che viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore incensurato di 44 anni, grazie alla coincidenza del suo Dna con quello di “ignoto 1”, rilevato sugli indumenti intimi di Yara, dopo una lunga serie di tentativi per dare un nome e un volto a ignoto 1. Sarebbe questa prova genetica, la prova più importante su cui si è basata l’accusa. Altro elemento fondamentale è il fatto che Bossetti avrebbe stazionato e sarebbe passato ripetutamente con il proprio furgone davanti alla palestra di Yara, come confermato dai video delle telecamere di sorveglianza.

Le tappe del processo

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