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    Sulle Alpi, scalzi tra il ghiaccio e la neve per raggiungere la Francia: la nuova rotta dei migranti

    Carlo Rossetti, operatore del soccorso alpino, ed Eloisa Franchi della Ong Rainbow Africa, spiegano a TPI chi sono e come si muovono i migranti che tra mille avversità cercano di superare l'ultimo varco attivo verso la Francia

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 20 Dic. 2017 alle 15:50 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:12

    “Senza alcun tipo di attrezzature, con giacche leggere, scarpe da ginnastica e a piedi scalzi si incamminano di notte, sfidando il buio, il freddo, la neve e le difficoltà che la montagna riserva ai suoi visitatori”.

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    Eloisa Franchi, portavoce della Ong Rainbow Africa che da inizio dicembre si occupa di salvataggi in queste zone, racconta a TPI dei migranti che, in numero sempre maggiore, tentano di superare il valico del Col de l’échelle,tra Italia e Francia, che congiunge la Val di Susa in Piemonte con la Val della Clarée nel dipartimento delle Hautes-Alpes.

    Siamo in Piemonte, a 1.700 metri di altezza, questo piccolo passo alpino oggi è completamente innevato, la temperatura può scendere fino ai 20 grandi sotto lo zero, ma queste condizioni non scoraggiano i migranti che puntano verso la Francia.

    A meno di 10 chilometri c’è chi scia sulle piste di Bardonecchia, in val di Susa. Questa è, ormai da quasi due anni, la nuova rotta dei migranti che vogliono lasciare l’Italia.

    “Se consideriamo la chiusura del più semplice valico di Ventimiglia, e quella del Brennero e di Como, è facile immaginare come il numero di queste persone sia aumentato”, spiega Eloisa.

    “Siamo rimasti su cifre giornaliere che toccano il picco di 20 persone, quindi non numeri altissimi, proprio perché questo resta un valico difficile”, prosegue la portavoce.

    Per evitare di imbattersi nelle pattuglie di gendarmi lungo la strada, i migranti non esitano a lasciare i sentieri battuti, finendo per perdersi o ferirsi anche gravemente tra i boschi.

    Dall’inizio dell’anno sono passate più di 1.500 persone, originarie soprattutto del Mali, della Guinea e della Costa d’Avorio, ma vengono da ogni parte del centro Africa, passando da diverse regioni d’Italia. Molti sono minorenni.

    “Quest’estate”, specifica Eloisa “la situazione era diversa, e il passaggio era più semplice. Adesso fa molto freddo, ha nevicato abbondantemente e queste persone rischiano la vita”.

    “La montagna è già pericolosa di per sé, anche per chi la conosce, figuriamoci per chi non è attrezzato e spesso si ritrova all’aperto, tra ghiaccio e neve, con i calzari e poco altro per affrontare il viaggio. Parliamo di persone che magari non hanno nemmeno mai visto la neve in vita loro”, continua Eloisa.

    “Noi cerchiamo di dissuaderli spiegando loro i pericoli della montagna, anche quando li troviamo a Bardonecchia pronti per cominciare il viaggio, ma non c’è modo”.

    Come spiega Eloisa a TPI, il problema è che molti di questi migranti non hanno la percezione del pericolo: “Cosa vuoi che sia la difficoltà della montagna, quando hai attraversato un deserto e il mare? Quando la morte era praticamente certa e hai vissuto già tanti pericoli, fai di tutto per avere una vita migliore”.

    I minori cercano di attraversare il valico perché sanno già che in Francia o in altri paesi ci sono dei parenti ad attenderli. Hanno un obiettivo, cercano la sicurezza.

    “Molti persone vengono soccorse per problemi di assideramento. Il percorso non prevede molti chilometri, ma la conformazione della Valle Strettan è tale che presenta difficoltà anche per persone abituate”, conclude Eloisa.

    Carlo Rossetti è un operatore del Soccorso Alpino, si è occupato di moltissimi salvataggio fino a oggi. Ha spiegato a TPI le condizioni delle persone soccorse.

    “Lo scorso 11 dicembre abbiamo salvato cinque persone, una delle quali era scalza, con un principio di congelamento. Da quando ha fatto questo metro e 20 di neve, molti migranti li troviamo in ipotermia, con problemi di congelamento agli arti superiori e inferiori”, racconta Carlo.

    “Queste persone chiedono aiuto tramite il telefono. Da quando è iniziata questa nuova rotta, abbiamo attivato una collaborazione con Rainbow for Africa che tutte le notti ci mette a disposizione un medico, il quale dorme nella nostra sede e quando c’è la necessità viene con noi, diversamente aspetta che riportiamo i feriti per la prima medicazione”.

    Anche Carlo racconta come sia difficile dissuadere queste persone dal loro intento: “Ci parliamo in francese e loro sembrano ascoltare, ma possiamo dire quello che vogliamo, spiegare quale rischio di perdere un arto o morire ci sia, ma al mattino, tutti i migranti partono ugualmente”.

    “Non hanno idea dei rischi dell’inverno a 1400 metri. Bardonecchia è a 1400 come base, ma il colle della scala è di 2.200 metri, c’è un dislivello importante”.

    “Abbiamo incontrato diversi minori di 15-16 anni. Loro proverebbero a partire a tutte le ore. D’estate provavano di notte, il freddo li rallentava un po’ nell’agire, ma adesso ci provano alle prime ore dell’alba. Bisognerebbe disincentivarli già a Torino, prima che arrivino a Bardonecchia”.

    Ma Carlo è uno dei volontari che sta prestando servizio per aiutare queste persone e spiega come tutti i montanari della valle, in un modo o nell’altro, si stiamo mobilitando per dare una mano.

    “Si pensa che i montanari siano persone strane, ma siamo tutti molto solidali, sappiamo come aiutare le persone”.

    Mobilitazione della comunità alpina per disincentivare la nuova rotta dei migrant. Credit: AFP PHOTO / Sophie LAUTIER

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