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Negozi etnici, esame di italiano e traduzione delle insegne: la proposta della Lega

La senatrice ha presentato un testo con le misure che impongono obblighi specifici ai commercianti extracomunitari "per l'integrazione dei cittadini"

Di Massimo Ferraro
Pubblicato il 16 Ott. 2018 alle 08:09 Aggiornato il 17 Ott. 2018 alle 12:32

Stretta sugli orari, traduzione delle insegne ed esame di italiano per i commercianti. Per i negozi etnici non ci sarà solo l’obbligo di chiusura anticipata, la misura annunciata dal ministro dell’Interno Salvini che dovrebbe essere contenuta nel decreto sicurezza, ma potrebbero arrivare a breve una serie di altri vincoli.

In una diretta su Facebook giovedì 11 ottobre 2018 aveva anticipato che nel decreto sarà previsto un emendamento che fisserà la chiusura dei negozi etnici alle 21, “ritrovo di spacciatori, ubriaconi e casinisti”, come  li ha definiti il vicepremier, con lo scopo di contrastare problematiche di ordine pubblico.

Ma è di giugno scorso un altro provvedimento, una proposta di legge depositata dalla senatrice della Lega Silvana Comaroli. Oggetto del testo: “Disposizioni concernenti l’accertamento del livello essenziale di conoscenza della lingua italiana per gli addetti alle attività commerciali e le insegne degli esercizi”.

L’obiettivo della proposta di legge, ora in esame alla commissione Attività produttive, è quello di imporre la traduzione delle insegne di negozi multietnici come kebab, bazar, ristoranti cinesi e simili, e introdurre un esame di lingua italiana obbligatorio per i titolari di questi esercizi commerciali.

Il testo si compone di un solo articolo e mira a modificare l’articolo 71 del decreto legislativo 59 del 26 marzo 2010.

Nelle intenzioni della proponente, queste disposizioni sono necessarie “per assicurare, ai sensi dell’art.117 della Costituzione, ai consumatori un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai beni e ai servizi sul territorio nazionale”.

Nel testo è previsto che spetti alle regioni la decisione se introdurre o meno l’obbligo di un certificato di lingua italiana per i commercianti cittadini di uno Stato non appartenente all’Ue.

Spetterà sempre alle regioni decidere se imporre la traduzione delle insegne qualora non siano scritte in una lingua ufficiale dell’Unione europea, o in un dialetto locale.

Nella relazione, la senatrice ha spiegato che la finalità “è la realizzazione di una seria politica di integrazione tra cittadini italiani ed extracomunitari”.

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