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Omicidio Yara, Massimo Bossetti oggi: “Sono un prigioniero di Stato”

Massimo Bossetti

Le parole dopo la sentenza di condanna della Cassazione

Di TPI
Pubblicato il 25 Ott. 2018 alle 07:44 Aggiornato il 25 Ott. 2018 alle 08:24

Massimo Bossetti oggi: “Sono un prigioniero di Stato” | Le parole dopo la sentenza di condanna della Cassazione per l’omicidio di Yara Gambirasio

MASSIMO BOSSETTI OGGI – “Sono due giorni che sto qui disteso, due giorni che non mangio, solo frutta”. A parlare dal carcere di Bergamo è Massimo Bossetti, condannato in via definitiva dalla Cassazione per l’omicidio di Yara Gambirasio (qui la ricostruzione di tutta la storia).

L’ex muratore di Mapello si è sempre proclamato innocente. E continua a gridare la sua estraneità ai fatti: “Vivo solo il presente. Mi è crollato tutto, non credo più nella giustizia. Sono stato condannato senza avere la possibilità di difendermi. Ogni sera speravo che i giudici mi dessero la perizia. Adesso mi sento addosso un peso enorme. Mi sento un prigioniero di Stato” si sfoga Bossetti, così come riportato da Il Giorno dopo la visita di un politico.

Il quotidiano scrive:

“«Sono in vita per la mia famiglia. Grazie a Dio la mia famiglia mi è rimasta vicino». È a questo punto che Massimo Bossetti scoppia in pianto. Parla dei tre figli che non smettono di interrogarlo sul ritorno a casa. Per questo non si è ancora sentito di rivederli dopo il pronunciamento della Suprema Corte”

Massimo Bossetti oggi: tutta la storia

Venerdì 12 ottobre 2018 la Corte di Cassazione ha confermato l’ergastolo per Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio.

Bossetti era stato condannato in appello il 17 luglio 2017.

Gli avvocati difensori di Bossetti chiedevano l’annullamento di quella sentenza: presentato un ricorso di oltre 600 pagine nel quale sono elencati 23 motivi per i quali il loro assistito è innocente.

I legali contestano diversi elementi sostenuti dall’accusa e, in particolare, la cosiddetta “prova regina” contro Bossetti, ossia il Dna dell’uomo trovato sul corpo della vittima.

I difensori puntavano a far riaprire l’istruttoria necessaria a disporre la ‘superperizia’ sul Dna, come già richiesto, invano, fin dal primo grado.

“In questo processo c’è stata mancanza di contraddittorio”, protesta l’avvocato Claudio Salvagni. “La difesa non è stata ascoltata, e anche Bossetti non ha potuto difendersi, perché non è mai stata disposta la perizia sul Dna. Già il tribunale di Brescia, in sede di riesame, aveva parlato di aporie che dovevano essere risolte con una perizia, che pero’ non c’è mai stata”.

Il Dna, secondo la difesa, “non può essere considerato un indizio grave, preciso e concordante”. “Noi abbiamo rilevato ben 261 errori e, soprattutto, manca il Dna mitocondriale”, attacca ancora Salvagni.

Tutte argomentazioni, queste, che nei giudizi di merito sono state respinte: in particolare, nelle motivazioni della sentenza d’appello si rilevava come una ‘superperizia’ sul materiale genetico trovato sui vestiti di Yara Gambirasio “deve ritenersi assolutamente superflua e non necessaria ai fini della decisione”.

Contro la sentenza d’appello aveva presentato ricorso anche la Procura generale di Brescia, che chiede soltanto di annullare l’assoluzione pronunciata in entrambi i giudizi di merito nei confronti dell’imputato in relazione al reato di calunnia ai danni di un collega.

Massimo Bossetti oggi: la condanna all’ergastolo da parte del Tribunale d’appello

Nella tarda serata di lunedì 17 luglio 2017 i giudici d’appello avevano confermato la condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti, ritenuto colpevole dell’omicidio dell’adolescente Yara Gambirasio, risalente al 2010.

La decisione è arrivata dopo 15 ore di camera di consiglio. È stata confermata quindi la sentenza di primo grado che già condannava Bossetti per omicidio volontario.

Il 17 luglio, poche ore prima della sentenza, Bossetti si era rivolto in aula ai giudici, ai parenti e alla stampa ribadendo la sua innocenza.

“Ve lo giuro, mai diventerò colpevole della mia innocenza. Questo è il più grave errore giudiziario di questo secolo”, ha detto Bossetti in tribunale difronte alla Corte d’Assise d’appello di Brescia che ha emesso la sentenza.

“Yara è l’unica vittima di questa immane tragedia. Poteva essere mia figlia o la figlia di tutti voi. Aveva davanti una vita e tanti sogni da realizzare. Neppure un animale meriterebbe una fine così, tanto dolore, tanto accanimento, tanto sadismo. Non oso immaginare il dolore dei familiari di Yara”, ha proseguito davanti ai giudici.

Il 1 luglio 2016 Massimo Giuseppe Bossetti era già stato condannato in primo grado all’ergastolo, riconosciuto come unico colpevole.

Ecco quali sono state le tappe che hanno portato, dopo sette anni dal delitto, alla condanna di Bossetti:

Il delitto

Yara Gambirasio scomparve a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, il 26 novembre 2010. Alle 18:44 Yara uscì dalla palestra dove praticava ginnastica ritmica ma le sue tracce vennero perse poco dopo. Alle 18:49 il suo telefonino viene agganciato dalla cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate, poi il segnale scompare definitivamente.

Il corpo della ragazza venne ritrovato casualmente solo tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, a Chignolo d’Isola, distante 10 chilometri circa da Brembate di Sopra. Sul corpo della ragazza vengono rilevati numerosi colpi di spranga sul corpo, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio sul corpo.

Fu il 16 giugno 2014 che viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore incensurato di 44 anni, grazie alla coincidenza del suo Dna con quello di “ignoto 1”, rilevato sugli indumenti intimi di Yara, dopo una lunga serie di tentativi per dare un nome e un volto a ignoto 1. Sarebbe questa prova genetica, la prova più importante su cui si è basata l’accusa. Altro elemento fondamentale è il fatto che Bossetti avrebbe stazionato e sarebbe passato ripetutamente con il proprio furgone davanti alla palestra di Yara, come confermato dai video delle telecamere di sorveglianza.

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