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La strategia del M5s per recuperare voti sulla Lega: tornare ad essere di sinistra

La nave Sea Watch 3 e, a destra, Luigi Di Maio.

Il caso Sea Watch ha segnato la prima sconfitta politica di Salvini: i grillini ora vogliono alzare la testa, mostrarsi diversi dall'alleato di governo e provare a frenarne l'ascesa, recuperando i voti della base delusa

Di Luca Serafini
Pubblicato il 11 Gen. 2019 alle 11:03

La ribellione del M5s all’egemonia leghista, all’interno del governo e nel paese, parte dal caso Sea Watch.

La vicenda dei 29 migranti bloccati per 19 giorni nel Mediterraneo, e infine fatti sbarcare a Malta in vista di una redistribuzione in otto paesi europei, tra cui l’Italia, ha segnato la prima importante sconfitta politica di Salvini in questo esecutivo.

Leggi anche: Sea Watch, chi ha vinto e chi ha perso

Sconfitta, per giunta, maturata sul proprio terreno, quello dell’immigrazione. Il premier Conte, in maniera inaspettata, ha fatto la voce grossa, contrapponendosi al ministro dell’Interno e riuscendo a far passare la sua linea.

Conte è espressione dei rapporti di forza tra Lega e M5s post elezioni del 4 marzo, quando i grillini erano il primo partito nel paese (oggi non è più così, come testimoniano i sondaggi) e spettava quindi a loro indicare il presidente del Consiglio.

Dietro la mossa del premier c’è la probabile regia proprio dei pentastellati. Questi ultimi, dopo aver ingoiato rospi per mesi, aver visto la Lega schizzare in alto nel gradimento degli elettori, essersi fatti dettare la linea politica da Salvini, hanno preso atto che occorre un cambio di passo.

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La strategia è duplice: da una parte contrapporsi a Salvini, senza ovviamente spaccare il governo, su provvedimenti che chiamano in causa il nucleo identitario profondo del Movimento.

Basta piegare il capo su tutto, come avvenuto sul Decreto Sicurezza. Il M5s, questo è il messaggio lanciato, da adesso in poi vuole provare a mettere il bastone tra le ruote ai provvedimenti leghisti che spostano sul Carroccio l’asse del consenso, e che fanno infuriare la base grillina.

Una prima importante prova della tenuta di questa strategia la avremo con la legge sulla legittima difesa. Il malumore già espresso da molti parlamentari pentastellati per il testo presentato dalla Lega si tradurrà in una battaglia politica a viso aperto, e non affidata a uno sparuto gruppo di dissidenti?

Ma c’è anche di più. Proprio per ritrovare una base identitaria non schiacciata sul sovranismo e le politiche di destra della Lega,  questo cambio di atteggiamento del Movimento Cinque Stelle si sta caratterizzando sempre di più come una svolta a sinistra.

Il ragionamento è semplice: alcuni elettori, delusi dalle promesse mancate su temi più marcatamente “di sinistra”, hanno abbandonato il Movimento. Altri, quelli più a destra, preferiscono l’originale (la Lega) alla copia.

Occorre quindi recuperare i temi originari del M5s (democrazia diretta, lotta alla casta) e quelli maggiormente attrattivi per l’elettorato fuoriuscito dal PD e confluito tra le fila grilline.

Come scrive Fabio Martini sulla Stampa, “dopo un anno esatto dalla batosta del 4 marzo 2018, fra otto settimane, il Pd avrà finalmente un leader e l’idea non dichiarata dei vertici Cinque Stelle è proprio quella di non lasciare consolidare un possibile recupero elettorale del Partito Democratico”.

Anche il dossier Tav è un indizio che va in questa direzione: se su Tap e Ilva il M5s ha gettato la spugna, sulla Torino-Lione intende andare fino in fondo e bloccare l’opera.

La commissione incaricata di compiere l’analisi costi-benefici, secondo le prime indiscrezioni, avrebbe bocciato la Tav. Un esito che ovviamente piace ai Cinque Stelle, del resto già accusati di aver formato una commissione ad hoc, con esperti che in passato si erano dichiarati contrari all’opera.

Salvini ha chiesto, in caso di parere negativo dei tecnici, di indire un referendum, e potrebbe persino scendere in piazza a Torino con i Sì-Tav.

Ma i Cinque Stelle, in questa fase, sono tutt’altro che inclini al compromesso. Un’altra promessa tradita allontanerebbe ancora di più la base, specie quella più a sinistra, e farebbe perdere ulteriori voti.

All’interno di questa cornice può essere letto anche il sostegno espresso da Di Maio ai gilet gialli, e la sua proposta di alleanza alle elezioni europee (per ora rispedita al mittente).

Come avevamo già spiegato in questo articolo, i gilet gialli rappresentano per i Cinque Stelle una ghiotta occasione per tornare ad essere populisti e “di lotta” in un agone politico in cui sono ancora all’opposizione: l’Europa.

Un modo per far dimenticare le promesse tradite ora che sono al governo e mettere insieme una “alleanza internazionale della democrazia diretta” come lo stesso Di Maio l’ha definita, che possa contrapporai alla Lega anche a livello europeo.

Alle elezioni del prossimo maggio, infatti, Salvini si presenterà come frontman dei sovranisti. Ha un alleato solido, Marine Le Pen, e un altro potenziale a cui sta facendo la corte (il partito polacco Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski).

Di Maio sta cercando di tessere una tela fatta di nuove alleanze: non solo i gilet gialli, ma anche i polacchi di Kukiz’15, partito connotato chiaramente a destra, i populisti croati di Živi zid e i liberali finlandesi di Liike Nyt.

L’agenda sarebbe in parte diversa da quella di Salvini e dei suoi partner: sovranista ma con giudizio, e maggiormente connotata su democrazia diretta, partecipazione dal basso, diritti sociali.

È un’altra declinazione della necessità di segnare una linea di separazione con la Lega, di essere percepiti come differenti dal Carroccio.

Magari non di sinistra, ma nemmeno sfacciatamente di destra: post-ideologici, come da dottrina grillina delle origini. Diventare indistinguibili dal salvinismo, del resto, nel lungo periodo potrebbe condannare i grillini all’irrilevanza.

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