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Ludwig, i serial killer nazisti che terrorizzarono il nordest

Di TPI
Pubblicato il 24 Apr. 2018 alle 14:35 Aggiornato il 24 Apr. 2018 alle 14:41

Il 25 novembre 1980 una lettera arrivò alla redazione di Mestre del giornale locale Il Gazzettino: essa rivendicava tre omicidi avvenuti in Veneto tra il 1979 e il 1980 e portava la firma “Ludwig”, posta lungo le ali di un’aquila del Terzo Reich posata sopra una svastica. A corredo del tutto, una serie di informazioni dettagliate sulle molotov e i coltelli usati nei delitti, a prova della veridicità della rivendicazione.

Le uccisioni rivendicate furono le seguenti: Guerrino Spinelli, un senzatetto bruciato nella sua macchina a Verona nell’ agosto 1977, Luciano Stefanato, cameriere omosessuale ucciso a coltellate a Padova nel dicembre 1978 e Claudio Costa, tossicodipendente ucciso a coltellate a Venezia nel 1979. Tre morti unite da un solo filo conduttore: un senzatetto, un omosessuale e un tossicodipendente, tre persone che agli occhi di persone che perseguivano le idee del nazismo risultavano “deviate”. A conferma di questo arrivò, circa un mese dopo la lettera inviata al Gazzettino, una quarta uccisione di una persona appartenente a una categoria posta al di fuori di quello che per Ludwig era l’ordine: Alice Maria Beretta, prostituta uccisa a colpi di ascia e martello a Vicenza nel dicembre 1980.

Questa sigla, Ludwig, invia la sua prima rivendicazione nel pieno degli anni di piombo, in un periodo in cui in Italia il terrorismo politico di estrema destra e di estrema sinistra era molto attivo. Tuttavia, i bersagli scelti da questo gruppo sono diversi da quelli scelti da qualsiasi altra formazione terrorista del periodo. Ludwig, infatti, non sceglie personalità in vista, esponenti di una fazione politica opposta, né cerca la strage in nome del terrore: la scelta delle vittime di Ludwig sembra dettata da una moralizzazione più vicina a quella di un serial killer che a quella di un terrorista politico.

Ludwig, infatti, può essere inquadrato tra quegli assassini situati in una zona grigia tra serial killer e terroristi politici, in cui si può mettere ad esempio, pur con posizioni decisamente diverse, il celebre killer statunitense Unabomber. Tutto questo in anni in cui l’Italia ancora non era pratica nel fronteggiare i moderni serial killer, e proprio nel periodo in cui inizierà ad apprendere i primi metodi di contrasto a fenomeni di questo tipo per fronteggiare il primo assassino seriale di stampo maniacale in Italia nell’era moderna, il mostro di Firenze.

Il pensiero di Ludwig viene spiegato meglio in una nuova rivendicazione, arrivata tuttavia in seguito a un’azione che in sede processuale non gli venne attribuita. Il 25 maggio 1981 venne data alle fiamme la torretta di San Giorgio, una fortificazione delle mura di Verona usata come ritrovo da senzatetto e tossicodipendenti, uccidendo il 17enne Luca Martinotti. In seguito a tale episodio, una lettera a firma Ludwig arrivò alla redazione de La Repubblica, in cui era scritto: “Ludwig – La nostra fede è nazismo, la nostra giustizia è morte, la nostra democrazia è sterminio”, e nelle righe successive era rivendicato il rogo della torretta di San Giorgio. A conclusione del testo, la frase “Gott mit Uns”, motto dell’esercito tedesco per secoli fino ai tempi della Germania nazista.

Le idee di Ludwig sono dunque basate sullo sterminio di chi non risponde ai criteri di una forma di ordine e assume comportamenti da loro ritenuti deviati o si trova ai margini della società. I delitti successivi colpiscono un’altra categoria, persone che hanno fatto una scelta di vita differente e che per qualche ragione non rientra in quella specie di “ordine” che sembra essere perpetrato da Ludwig: i sacerdoti.

Nel 1982 padre Gabriele Pigato e padre Giuseppe Pigato, frati settantenni del Santuario della Madonna di Monte Berico, vengono uccisi a Vicenza a colpi di martello. Nel febbraio 1983 a Trento viene ucciso padre Armando Bison, cui viene conficcato in testa un punteruolo con attaccato un crocifisso. Si tratta del primo delitto compiuto fuori dai confini del Veneto.

Nel maggio di quell’anno Ludwig fa un passo avanti nella sua opera di morte, passando dai singoli omicidi alle stragi, e dà alle fiamme il cinema a luci rosse Eros a Milano, uccidendo sei persone. Stessa cosa succede nel mese di dicembre quando colpisce per la prima volta fuori dall’Italia, ad Amsterdam, dando fuoco al sexy club Casa Rossa e uccidendo 13 persone. Il mese successivo, nel gennaio 1984, a essere data alle fiamme è la discoteca Liverpool di Monaco di Baviera, in cui rimane uccisa una cameriera, Corinne Tatarotti, e sette persone restano ferite. La furia moralizzatrice di Ludwig si evince chiaramente nella rivendicazione, in cui viene scritto “al Liverpool non si scopa più”.

È il marzo 1984 quando Ludwig, dopo sette anni, compie un passo falso. L’obiettivo della nuova azione è la discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, dove centinaia di giovani stavano festeggiando in maschera il Carnevale. Un uomo, travestito da Pierrot, fece entrare un complice con due taniche di benzina che le rovesciò nel locale e cui venne appiccato il fuoco: la situazione sembrava destinata a trasformarsi in una strage. Tuttavia, i due uomini non avevano calcolato una cosa.

Il 13 febbraio 1983, infatti, un grave incendio si era verificato a Torino presso il Cinema Statuto in seguito a un corto circuito, causando la morte di 64 persone. Questo fatto aveva portato le istituzioni a imporre una nuova normativa antincendio per i locali pubblici, che prevedeva anche l’uso di moquette ignifuga: il fuoco appiccato sul pavimento della discoteca non attaccò, e i due uomini vennero fermati dai buttafuori e consegnati alla polizia.

Dopo sette anni di attività, 28 persone uccise e 39 ferite in tre diversi paesi, Ludwig venne fermato. Dietro questa sigla si nascondevano due killer, uno italiano – Marco Furlan – e l’altro tedesco – Wolfgang Abel -, che avevano seminato insieme questa ondata di morte sotto la sigla da loro creata.

I due venivano entrambi dalla zona di Verona: Furlan era nato in città, mentre Abel era nativo di Dusseldorf ma viveva nella cittadina veneta di Negrar, dove la famiglia si era trasferita. Entrambi benestanti, si erano conosciuti alle superiori e condividevano l’idea di voler “ripulire” il mondo dai comportamenti che giudicavano deviati.

Nel 1987 i due uomini furono condannati rispettivamente a 30 anni di carcere in primo grado, poi divenuti 27 in appello: il pm aveva chiesto l’ergastolo, ma per entrambi venne riconosciuto un parziale vizio di mente che contribuì ad alleggerire la loro pena. Nel 1991 Furlan, che per decorrenza dei termini di carcerazione stava risiedendo in un comune del padovano, riuscì a fuggire, salvo essere riarrestato nel 1995 a Creta dove viveva sotto falsa identità ed essere scarcerato per fine pena nel 2009, dopo essersi laureato con lode in ingegneria informatica. Dal 2016, invece, anche Wolfgang Abel è tornato in libertà: entrambi hanno dichiarato di non aver più avuto a che fare l’uno con l’altro dopo i delitti commessi.

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