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L’Italia non può sopravvivere

"Lost in stagnation". L'impietoso giudizio sull'Italia espresso da Guy Dinmore sul Financial Times.

Di Gian Maria Volpicelli
Pubblicato il 19 Apr. 2013 alle 15:24

In un reportage per il Financial Times, Guy Dinmore fa il punto sulla situazione politica, economica e infrastrutturale del Belpaese – e lo scenario non è dei più rincuoranti.

A quattro anni dal terremoto che la devastò, “L’Aquila è divenuta un monumento alla paralisi politica ed economica dell’Italia. Piccole imprese edilizie hanno vinto appalti per la ricostruzione, hanno iniziato a lavorare e sono fallite quando lo Stato non le ha pagate – un’abitudine in tutto il Paese, dove la pubblica amministrazione deve 100 miliardi di arretrati alle imprese private. Come il resto dell’Italia, L’Aquila è piena di soffocanti imposizioni burocratiche“.

Ma la lentezza burocratica è spia di un problema più profondo: l’economia non cresce, i grandi marchi italiani vengono svenduti uno a uno a capitali stranieri e i giovani italiani fuggono a frotte per andare in Germania o per “lavorare nei bar, nelle banche e nelle imprese di Londra”. La politica dovrebbe dare delle risposte ma latita: “Otto settimane dopo le elezioni, risultate in un Parlamento diviso, l’Italia sta ancora aspettando un governo”. Il Movimento 5 Stelle aveva destato interesse all’estero ma “sotto la strana leadership di Beppe Grillo, il movimento sembra disorientato, incapace di trasformare il suo miscuglio di idealisti, estremisti di destra e attivisti di sinistra in un soggetto con un’identità chiara. “La speranza è che Matteo Renzi “giovanile e riformista astro nascente del centrosinistra, possa mettere a frutto la voglia di cambiamento dei cittadini, o che Berlusconi trovi finalmente un erede per la leadership del centrodestra. Ma per ora nuove elezioni – luglio o ottobre le date più probabili – potrebbero andare a finire in un ulteriore stallo.”

E alla domanda finale “L’Italia ce la può fare?” la risposta che Pepper Culpepper, professore all’ European University Institute di Firenze, dà a Dinmore è un sonoro “no“.

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