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Italiani brava gente

Una giornalista del Guardian commenta le offese alla Kyenge collegandole all'incapacità dell'Italia di affrontare il passato

Di Anna Ditta
Pubblicato il 11 Set. 2013 alle 09:31

Secondo un comune stereotipo gli italiani sono amichevoli e gentili, amano le risate e la bella vita. Sono un po’ disorganizzati, ma pronti ad accoglierti a braccia aperte piuttosto che insultarti o minacciarti.

Questa immagine entra però in contrasto con gli episodi più recenti di offese contro il ministro per l’Integrazione italiana, Cécile Kyenge.

Maaza Mengiste, in un commento pubblicato sul Guardian, sostiene che tale contraddizione nasca dall’incapacità dell’Italia di affrontare il proprio passato.

Facendo riferimento all’invasione italiana in Etiopia del 1935, la giornalista parla di una devastante combinazione di guerra aerea e assalti via terra, che hanno portato a 5 anni di occupazione durante i quali la popolazione ha subito attacchi con armi chimiche come l’iprite, deportazioni in campi di concentramento e massacri: tattiche sviluppate nella brutale “campagna di pacificazione” che per trent’anni gli italiani hanno svolto in Libia.

Secondo le ricerche di Maaza, condotte negli archivi del periodo fascista, l’Italia censura abitualmente i numeri della guerra in Etiopia, sottolineando invece la missione di “civilizzazione”.

Il nostro Paese avrebbe infatti “sottolineato la costruzione di infrastrutture senza rivelare che queste strade, ponti e linee telefoniche sono state costruite per migliorare la mobilità e la comunicazione tra le forze militari e furono realizzate a scapito di vite umane”. Inoltre solo 60 anni dopo la guerra il ministro della Difesa italiano ha ammesso l’utilizzo del gas tossico.

“Se la Germania ha avuto il suo processo di Norimberga e il Sud Africa la sua Commissione per la verità e la riconciliazione”, riflette la giornalista, “ciò che manca in Italia è quella responsabilità del dopoguerra che porta la dura verità alla luce e inizia il difficile viaggio verso la riconciliazione.”

Secondo la sua opinione, affrontare fatti dolorosi aiuta a cementare la memoria collettiva, stabilisce un ethos comune e aiuta a sviluppare un vocabolario per il pentimento. Per questo la lotta per una maggiore consapevolezza del passato in Italia, può influire sul suo futuro, in un momento di profonda trasformazione come quello che il Paese sta vivendo.

Gli attacchi contro Kyenge sono stati molto forti, e per la giornalista “è stato difficile vedere il gioviale italiano dietro la veemenza.”

“Il mito persiste in assenza di sanzioni più severe contro quei politici e gruppi responsabili” e per questo “una resa dei conti nazionale deve coinvolgere tutti gli italiani.”

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