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Io non odio gli uomini

Il commento sulla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne del 26 novembre

Di TPI
Pubblicato il 27 Nov. 2016 alle 20:23 Aggiornato il 1 Ott. 2018 alle 12:16

Sabato 26 novembre si è celebrata a Roma la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne. Eravamo tantissime: una marea di matrioske. Alcuni hanno scritto che eravamo 200mila. Eravamo bellissime.

Durante il corteo, partito da Piazza della Repubblica con grande giubilo, ho visto anche molti uomini, oltre ai tanti collettivi e alle tante associazioni provenienti da tutta l’Italia. L’energia potentissima, a tratti contagiosa, ha permeato la capitale fino al tramonto. 

Un’energia che si percepiva persino negli sguardi delle anziane affacciate alle finestre, che sorridevano dall’alto e tifavano per noi. Forse perché un tempo erano state militanti anche loro o forse perché avrebbero voluto scendere e marciare.

L’emozione era tanta. Per tutto quel coraggio riversato in strada a denunciare la violenza sulle donne, una violenza che, molto spesso, oltre ad essere fisica, è anche e soprattutto psicologica. Un inferno di cui è difficile parlare e da cui è ancora più difficile uscire, poiché le parole pronunciate non lasciano lividi sulla pelle e non si possono vedere e per questo, a volte, non si possono sconfiggere. 

Raccontare la violenza è essenziale, soprattutto nei media. Per capirla, per combatterla e per abbattere quel muro altissimo oltre il quale ci guardano tutti quei maschi che sottovalutano il problema e si beffano di tutte quelle che lo considerano una grande priorità nell’agenda politica.

Parlare di violenza è complicato, perché chi l’ha subita la vuole sempre dimenticare. Ma quando a rievocarla sono le frasi sminuenti pronunciate da terze persone, il ricordo degli abusi ritorna. Nella vita di una donna che ha subito violenza, il suo spettro torna sempre a bussare alla porta.

E quando succede, la rabbia pervade il cuore, per non aver saputo individuare quella violenza, per non aver avuto allora gli strumenti per affrontarla.

Camminando per via Cavour, dietro a uno dei carri della manifestazione, ho stretto forte la mano di una grande amica che mi sfilava accanto, ho mandato indietro le lacrime e ho alzato lo sguardo al cielo. Ho cantato forte il ritornello di “Non sono una signora”, che ruggiva nelle casse, e ho pensato che per me, come per la Berté, questa guerra non é ancora finita.

Ma nonostante tutto, io non odio gli uomini.

Ho perdonato la violenza dell’uomo che per anni non ha saputo dirmi quanto ero bella ai suoi occhi e riusciva solo a dirmi che se fossi stata più magra sarei stata migliore e gli sarei piaciuta di più.

Ho perdonato la violenza dell’uomo che per anni, durante le discussioni nelle quali chiedevo soltanto rispetto e uguaglianza, mi insultava dandomi della stupida e della “ritardata”, nel tentativo di minare la mia intelligenza e la consapevolezza che avevo di me stessa.

Ho perdonato quell’uomo che nonostante sapesse di avermi ferito in un’infinità di occasioni, mancandomi di rispetto, spesso in presenza di terzi, non ha mai saputo chiedere scusa, manipolandomi, facendomi arrivare a credere che il problema dei suoi comportamenti fossi io.

Ho perdonato l’uomo che nella nostra storia poteva fare tutto. La stessa relazione nella quale io, secondo lui, non potevo fare nulla. Ho perdonato l’uomo che mi rifiutava perché avevo scelto di ribellarmi al suo controllo e di frequentare altri uomini con la stessa libertà con la quale lui mi tradiva. L’uomo per il quale non sarei mai stata abbastanza “casta”.

Lo stesso uomo che non capirà mai il danno che ha creato in me. Quell’uomo che tutte le volte che mettevo in dubbio le sue parole, mi diceva che ero solo una pazza, una visionaria.

Lo stesso uomo che mi ha umiliata e infine abbandonata. Quell’uomo che mi ha fatto perdere la fiducia in tutti gli altri uomini e che non ha mai esitato a usare le mani, se aveva bevuto un bicchiere di troppo.

A tutti gli uomini che tacciano le femministe di essere estremiste e frustrate voglio dire che nessuna donna nasce frustrata, violentata o annullata. Nessuna donna viene al mondo per dover scendere in piazza e urlare al mondo che non vuole morire nelle mani di una società feroce che la vuole vittima, sconfitta e suicida.

Voglio dire a tutti gli uomini che si indignano quando da vittime diventiamo attiviste, che anche dire a una donna di tacere mentre prova ad esprimersi è violenza. Che guardarla con disprezzo solo perché, come tanti altri uomini, vive liberamente la propria sessualità è violenza. E che la violenza non è sempre sinonimo di livido: le parole marchiano a vita, molto più delle percosse.

Come ha detto oggi la giornalista Anna Scalfati, all’assemblea nazionale per stilare un piano nazionale di azione femminista, “per vincere le guerre servono le strategie e servono i soldati”.

E noi grideremo ancora, unite, più forti che mai. Per far si che si che alle finestre si affaccino ancora più donne e trovino la forza di scendere in piazza, di denunciare la violenza e di cambiare la propria vita.

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