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    Vi racconto come sono stata ingannata e venduta come prostituta in Italia

    Blessing Okoedion, nigeriana, ha 31 anni. Credit: Anna Ditta

    La video-intervista a Blessing Okoedion, una donna nigeriana vittima di tratta che è riuscita a denunciare i suoi sfruttatori e a riprendere in mano la propria vita

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 7 Dic. 2017 alle 17:25 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:45

    “Quando sei per strada piangi, ma poi, quando arriva il cliente, devi sorridere”.

    Blessing Okoedion ti guarda fisso negli occhi mentre racconta quello che ha provato quando, a 26 anni, mentre si trovava in Nigeria, è finita nelle mani dei trafficanti di esseri umani, che l’hanno venduta in Italia costringendola a prostituirsi per strada.

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    Nel suo sguardo non c’è vergogna, perché lei quella vita non l’ha scelta. C’è solo una grande dignità.

    Il suo racconto è per certi versi simile a quello delle quasi 9mila ragazze nigeriane arrivate in Italia nel 2016 e diventate vittime di tratta secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Un numero che ha doppiato quello dell’anno precedente.

    Per altri versi, però, la sua storia è diversa, perché lei non è finita nella rete dei trafficanti per ignoranza o per povertà. Blessing è laureata in informatica, e in Nigeria lavorava in in un negozio che vendeva e riparava computer. Non aveva mai pensato a lasciare il suo paese, fino a quando qualcuno le ha teso una trappola.

    A tradirla è stata una sua cliente, una di quelle che si erano sempre comportate bene con lei.

    “Mio fratello ha un negozio di computer in Europa”, le ha detto quella donna. “Sta cercando una persona laureata che lavori per lui”.

    Era il 2013. Blessing ci ha pensato, ha inviato il curriculum, ha fatto un colloquio e ha ottenuto il permesso di lavoro. A quel punto è partita per la Spagna, dove un uomo l’ha accolta all’aeroporto. Poche ore dopo è squillato il telefono. Era la sua cliente. “Il lavoro è in Italia, non in Spagna”, le ha detto. Blessing si fidava di lei, non si è insospettita.

    Ancora oggi si domanda cosa abbia spinto quella donna a farle del male in quel modo, e non sa darsi una risposta.

    “Quando sono arrivata in Italia ho trovato una coppia ad aspettarmi”, racconta Blessing a TPI. “Mi hanno portata nella loro casa e per prima cosa hanno aperto la mia valigia e preso i documenti e il permesso di lavoro. Ho chiesto cosa stessero facendo e loro mi hanno detto che dovevano conservare i documenti”. Anche stavolta Blessing ci ha creduto.

    A un certo punto uno di loro le ha detto: “Sei pronta a prendere gli uomini?”. Lei ha riso, e ha chiesto dove fosse la pistola. Ma quella non era una battuta.

    Quando le hanno spiegato che il lavoro non sarebbe stato in un negozio di computer, Blessing ha capito.

    Lavorare in strada

    I suoi aguzzini hanno detto a Blessing che avrebbe dovuto prostituirsi per ripagare un debito da 65mila euro.

    “In Nigeria, quando una ragazza non studia e non si impegna, le si dice “Italo”, per indicare che finirà per strada. Non vuol dire che verrà necessariamente in Italia, ma da noi si collega questo paese alla prostituzione. Tornare in Nigeria dall’Italia vuol dire farlo con un determinato marchio”, sottolinea Blessing.

    Dei giorni sulla strada lei oggi ricorda soprattutto il freddo e la paura. “Faceva freddo, ma dovevi stare scoperta per attirare i clienti”, racconta. “Le altre ragazze mi dicevano: ‘ti ci abituerai’. Ma come ci si può abituare a questa vita?”.

    “Alcune di loro hanno malattie terribili, perché uomini crudeli vanno da loro e propongono di farlo senza protezione per 150, 200 euro. E una ragazza che deve pagare un debito da 65mila euro cosa può fare? Accetta, perché nessuno le ha spiegato i rischi”, prosegue Blessing.

    La sua storia, per fortuna, è diversa da tante altre anche perché lei ha trovato il coraggio di denunciare i suoi sfruttatori.

    Non conosceva la lingua, non sapeva di chi potersi fidare, ma dopo alcuni giorni sulla strada si è rivolta ai carabinieri, che l’hanno condotta a Casa Rut, una struttura gestita da religiose che accoglie persone vittime di tratta, non solo a causa della prostituzione ma anche, ad esempio, del caporalato.

    Lentamente, Blessing ha ripreso il controllo sulla sua vita, destreggiandosi tra un senso di colpa irrazionale, ma comunque presente, per ciò che le era accaduto.

    Fuori dall’inferno

    Oggi Blessing ha 31 anni, un lavoro e vive autonomamente a Caserta. Nel 2015 ha deciso che sarebbe tornata a casa, ma prima di partire ha accettato di scrivere un libro-denuncia insieme alla giornalista Anna Pozzi, che si intitola Il coraggio della libertà. Una donna uscita dell’inferno della tratta.

    Quando è andata a parlarne nel suo paese, però, ha trovato un muro di scetticismo. Come se il rischio di finire nella rete dei trafficanti appartenesse a un altro mondo, a un’altra epoca. “Invece succede ancora”, insiste Blessing. “Io l’ho provato sulla mia pelle”.

    È questo il messaggio che lei porta oggi in giro per l’Italia con la sua testimonianza, come ha fatto lo scorso 28 novembre a un seminario su “Migrazione e Tratta” in vista della giornata mondiale di preghiera contro la tratta del 2018, che ricorrerà l’8 febbraio.

    “Tratta di persone e traffico di migranti sono due realtà diverse che sempre di più si intrecciano tra loro”, ha sottolineato Suor Gabriella Bottani, coordinatrice dell’organizzazione internazionale Talitha Kum, che protegge le vittime di tratta. 

    “La situazione di vulnerabilità alla tratta di migranti e rifugiati è in crescita in tutto il mondo, in particolare nel Sudest asiatico, dove papa Francesco è andato in visita apostolica”.

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