Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » News

Il radon, il nemico invisibile

Un'indagine rivela altissime concentrazioni di radon in molti edifici pubblici. In Italia mancano controlli e leggi efficaci

Di Angela Zurzolo
Pubblicato il 14 Giu. 2013 alle 07:35

In più sedi dell’Università del Salento, durante una campagna di monitoraggio non obbligatoria all’interno di seminterrati e piani terra, sono state rilevate alte concentrazioni di radon. Si tratta di valori tre volte superiori al limite massimo consentito. Il problema, però, viene sottovalutato persino nelle regioni più a rischio: Lazio, Lombardia, Friuli e Campania. Accade nell’Università della Tuscia, in un territorio particolarmente esposto a causa della presenza di complessi vulcanici, ma anche presso l’Università del Sannio, in cui stanno ancora “valutando come muoversi” e in quella di Milano, che non teme il problema solo perché non dispone di locali totalmente interrati.

Secondo un’indagine realizzata per il Corriere dell’Università Job, nella maggior parte delle università italiane non si effettuano monitoraggi e controlli. “Ritengo che su 65 atenei statali, solo un massimo di 10 effettui i monitoraggi necessari per prevenire il rischio radon”, ha ammesso Marco Sciarra, Presidente del Coordinamento nazionale dei Servizi Prevenzione e Protezione dell’Università.

Un atteggiamento molto diverso da quello adottato negli atenei all’estero. Nel documento “Radon Management” della Bangor University, ad esempio, si chiarisce: “Dal momento che alcune aree del Galles sono a rischio radon e alcuni edifici dell’Università presentano ambienti di lavoro interamente o parzialmente interrati, l’ateneo ha la responsabilità di identificare quali siano i rischi, implementando i controlli e preservando così la salute e la sicurezza del suo staff, degli studenti e dei visitatori”. Una differenza dovuta alla presenza di un inquadramento legislativo pienamente attivo.

In Italia, invece, le università non sono obbligate ad effettuare controlli nei seminterrati, adibiti spesso a laboratori e aule, a causa di un’inadempienza delle regioni che ha fatto sì che il D.lgs 241/00 restasse ampiamente inattuato. Paradossalmente, però, la pericolosità del gas nei seminterrati è anche superiore rispetto agli interrati. A confermarlo è stato il dott. Francesco Bochicchio, responsabile del Piano Nazionale Radon, che ha detto: “in questi ambienti, non essendoci l’obbligo di installare un impianto di ventilazione forzata, si può creare un accumulo anche maggiore di gas”. Le anomalie, del resto, non mancano: in una scuola del Lazio, “sono presenti valori superiori ai piani alti – forse perché costruito in tufo”, ha detto il preside.

Secondo la legge italiana, nei luoghi di lavoro si è costretti ad intervenire con operazioni di bonifica solo se si eccede il valore massimo di 500 Bq m³ – limite molto più elevato rispetto a quello fissato in altre nazioni. Un esperto, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha dichiarato: “Se si fosse stabilito un limite massimo più basso di 500 Bq m³, probabilmente, l’80 per cento degli edifici di regioni come il Lazio e la Campania avrebbero richiesto interventi e costi notevoli.

Attesissima, dunque, la nuova Direttiva europea che, nei prossimi mesi, inasprirà i valori di riferimento consentiti per tutelare gli individui dal rischio radon – prima causa di cancro ai polmoni tra i non-fumatori in moltissimi Paesi. Prodotto dal decadimento dell’uranio, questo gas nobile radioattivo è ovunque: nelle rocce, nel suolo e in alcuni materiali da costruzione. Agendo in sinergia con il tabacco, rende i fumatori 25 volte più a rischio. A lanciare l’allarme il rapporto redatto dall’International Radon Project dell’Oms, cui hanno partecipato oltre 100 esperti provenienti da 35 Paesi, che ha avuto un impatto decisivo sul processo di revisione della normativa internazionale. Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno già fissato rispettivamente a 150, 200 e 250 Bq al metro cubo il limite massimo nelle abitazioni.

Presto, l’Europa imporrà un valore di riferimento non superiore ai 300 Bq m³ nelle abitazioni. L’Italia, questa volta, sarà costretta a recepirne le raccomandazioni e non potrà ignorarle, come accaduto per la Raccomandazione CEC 90/143, che suggeriva un limite massimo per gli edifici da costruire a 200 Bq m³ e per quelli già esistenti a 400. Per anni, e ancora oggi, nel nostro Paese non vi è stata alcuna normativa a tutelare le abitazioni dal rischio radon. E per una piena tutela sui luoghi di lavoro, che comprenda anche seminterrati e piani terra, stiamo ancora aspettando che le regioni pubblichino l’elenco delle zone più a rischio nel loro territorio. Eppure, l’Istituto Superiore di Sanità stima che si abbiano dai 1.500 ai 5.500 casi di tumore attribuibili al gas ogni anno, riconosciuto a livello mondiale come contaminante radioattivo più pericoloso in ambienti chiusi.

A testimoniarne gli effetti, i parenti delle vittime dell’ex base dell’Aeronautica 1° Roc, sul Monte Venda (Padova), in cui sono state rilevate concentrazioni di radon anche 16 volte superiori al limite consentito. Nella base, un mix letale di radon, amianto e onde elettromagnetiche. Ben 63 le morti sospette. “Nel 2009, mi è stato riscontrato un tumore al polmone destro”, ha detto Franco Giordani, ex maresciallo. “Trent’anni di servizio e il radon mi ha fatto questo bel regalo, e molti miei colleghi sono morti”.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version