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Il patto tra Berlusconi e la mafia

I giudici evocano un patto tra Berlusconi e la mafia. Le Monde ripercorre le accuse contro l'intermediario Marcello Dell'Utri

Di Anna Ditta
Pubblicato il 6 Set. 2013 alle 09:47

C’è stato un patto tra Berlusconi e la mafia, e Marcello Dell’Utri ne è stato il mediatore.

Lo si legge chiaramente nelle motivazioni, pubblicate ieri, della sentenza della Corte d’Appello di Palermo che lo scorso marzo ha condannato Dell’Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

La notizia si è diffusa rapidamente tra i media stranieri. Il quotidiano francese Le Monde ha analizzato la sentenza ripercorrendo in un articolo la vicenda giudiziaria e le accuse mosse a Dell’Utri.

“In Italia, la giustizia evoca un “patto” tra la mafia e Berlusconi”, così titola Le Monde, spiegando che, secondo i giudici, il patto avrebbe assicurato la protezione del Cavaliere in cambio di denaro. La Corte d’Appello ha fatto anche riferimento ad un incontro svoltosi nel maggio 1974 a Milano tra Berlusconi, Dell’Utri e diversi boss mafiosi che avrebbe segnato l’inizio del patto, valido fino al 1992.

Come ricordato da Le Monde, durante il processo d’appello di Dell’Utri nel settembre 2012 Silvio Berlusconi è stato sentito come testimone per tre ore sulla possibilità che la mafia gli avesse estorto circa 40 milioni di euro attraverso l’accusato in cambio di protezione. Berlusconi in quell’occasione aveva negato tutto, dicendo che il denaro era destinato ad “aiutare un amico.”

“Nel primo processo contro Dell’Utri, nel dicembre 2009, un pentito della mafia siciliana, Gaspare Spatuzza, l’aveva anche accusato di essere stato “l’intermediario e l’uomo provvidenziale” per preparare l’arrivo di forze politiche ben disposte verso Cosa Nostra”, si legge nell’articolo.

Dell’Utri ha fondato insieme a Berlusconi Forza Italia nel 1993. Ha diretto inoltre per più di trent’anni Publitalia, la concessionaria esclusiva di pubblicità del gruppo Mediaset, di proprietà di Berlusconi.

All’incontro cui si fa riferimento nella sentenza è seguita l’assunzione da parte di Berlusconi del mafioso Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, in qualità di stalliere. La sentenza ironizza al riguardo: Berlusconi avrebbe avuto la necessità di assumere nella sua villa uno stalliere “non tanto per la sua famosa passione per i cavalli”, ma solo “per garantire una presenza mafiosa in casa”.

Secondo i giudici, il patto è stato molto vantaggioso per Cosa Nostra, che da un lato ha potuto beneficiare dei versamenti di denaro effettuati da Berlusconi attraverso Dell’Utri, dall’altro ha potuto rafforzare e consolidare il proprio potere.

Il giornale francese riporta anche la reazione di Luca D’Alessandro, deputato del Pdl, il quale ha fatto riferimento a una “furia persecutoria” che parte della magistratura avrebbe messo in atto nei confronti di Silvio Berlusconi, e che adesso sarebbe arrivata a “inquietanti livelli”, al punto da “farlo considerare colpevole perfino in processi nei quali non è neanche imputato e per fatti dai quali è stato più volte e ampliamente prosciolto”, come si legge in un comunicato in cui il parlamentare chiede una riforma della giustizia.

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