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Le Iene hanno ammesso che alcuni filmati sul Blue Whale sono falsi

Il conduttore Matteo Viviani ha detto di aver usato con leggerezza i video nel servizio che accusava il macabro gioco di spingere gli adolescenti al suicidio in Russia

Di TPI
Pubblicato il 8 Giu. 2017 alle 10:33 Aggiornato il 23 Apr. 2018 alle 17:28

Il 14 maggio Le Iene, noto programma televisivo di Mediaset, ha trasmesso un servizio sul Blue Whale, un gioco diffuso in Russia, che è ritenuto da alcuni giornali del paese responsabile di decine di suicidi tra gli adolescenti.

Nell’inchiesta, il conduttore Matteo Viviani è andato in Russia a intervistare alcune mamme di giovani ragazze che si erano suicidate lanciandosi da un palazzo. In un’altra intervista si raccontava che il gioco fosse arrivato in Italia, con la morte di un ragazzo di 15 anni di Livorno, forse legata alla macabra sfida.

Nei primi minuti del servizio delle Iene erano stati mostrati alcuni video amatoriali molto forti, in cui alcune persone si lanciavano da edifici. Viviani spiegava che così gli adolescenti russi si erano tolti la vita, facendosi filmare mentre si buttavano dai palazzi .

“I video che state vedendo non sono stati filmati da persone che erano lì per caso”, diceva nel servizio. “Ma da ragazzini che si trovavano lì apposta, che seguivano un piano ben preciso, una specie di protocollo che tutti i partecipanti sono tenuti a seguire”.

La pubblicazione del servizio ha fatto molto discutere in Italia e qualche giorno dopo alcuni siti e pagine Facebook hanno fatto emergere che alcuni dei video utilizzati in questa parte del servizio non si riferiscono affatto a suicidi di ragazzini, che altri non sono stati nemmeno girati in Russia e che uno è addirittura visibilmente un falso.

In un’intervista pubblicata sul Fatto Quotidiano il 7 giugno 2017 Viviani difende il suo servizio, ma ammette di non aver verificato l’origine dei video di suicidi trasmessi durante la puntata.

“Me li ha girati una tv russa su una chiavetta e ammetto la leggerezza nel non aver fatto tutte le verifiche, ma erano comunque esplicativi di quello di cui parlava il servizio”, dice Viviani nell’intervista. “Era solo il puto di partenza, cambiava qualcosa se avessi messo una voice over di 4 secondi in cui dicevo che quei video no erano collegati al Blue Whale?”.

Viviani sostiene che grazie al suo servizio anche in Italia si è aperto un dibattito su un fenomeno che nessuno conosceva.

Cosa sappiamo del Blue Whale

Come avevamo riportato in un approfondimento del 21 marzo, il gioco riguarda alcuni gruppi del social network russo VKontakte accusati di spingere i giovani a suicidarsi attraverso 50 sfide. Secondo i media che hanno riportato la notizia, sarebbero oltre cento gli adolescenti russi vittime di questo gioco.

Il gioco è semplice: ci si iscrive e ci si impegna a seguire le istruzioni per 50 giorni, durante i quali si devono portare a termine una serie di sfide assegnate da un amministratore. Il giocatore vince quando completa anche la 50esima prova: il suicidio. Blue Whale, balena azzurra, è il mondo in cui vengono chiamati i “giocatori”.

La notizia dell’effettivo suicidio degli adolescenti, secondo alcuni siti di debunking, pare abbia avuto origine da una imprecisione contenuto in un articolo del sito Novaya Gazeta, risalente al maggio 2016. L’articolo in questione riferiva che vi erano stati decine di suicidi in Russia nei sei mesi precedenti e che alcune delle vittime facevano parte della comunità virtuale sul social network VK.com.

Secondo Novaya Gazeta, almeno ottanta suicidi erano collegati al gioco del Blue Whale, ma una successiva inchiesta di Radio Free Europe ha verificato che non vi era nessuna prova del collegamento tra le morti degli adolescenti e le sfide, in nessuno dei casi.

Un altro sito russo, Meduza, ha criticato la conclusione a cui era giunta Novaja Gazeta, sostenendo che la relazione sarebbe stata piuttosto quella inversa. È più ragionevole pensare che non è il social network che induce i giovani al suicidio, ma sono gli adolescenti depressi o tendenti al suicidio che sono attratti da determinati gruppi sui social network.

Nonostante il fatto che i bambini che si erano suicidati fossero iscritti allo stesso social network, è impossibile stabilire un nesso causale, non avendo prove sufficienti.

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