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    Il giornalista della Stampa racconta a TPI l’interrogatorio subito dopo le indagini sui soldi della Lega

    Matteo Salvini. Credit: Tiziana Fabi

    Matteo Indice, uno dei tre cronisti portati in caserma e trattenuti per tre ore, ci ha raccontato come si sono svolti i fatti

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 14 Giu. 2018 alle 18:42 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 08:30

    La mattina di mercoledì 13 giugno tre giornalisti che stanno seguendo l’indagine della procura di Genova sui flussi finanziari della Lega sono stati condotti in caserma dalla Guardia di Finanza di Bolzano e trattenuti per tre ore per rispondere a domande sui loro articoli (qui cosa è successo).

    I tre giornalisti sono Matteo Indice de La StampaFerruccio Sansa del Fatto Quotidiano Marco Preve di Repubblica. TPI ha contattato telefonicamente oggi, 14 giugno, Matteo Indice per sapere come si sono svolti i fatti.

    “I comunicati iniziali sono stati un po’ drammatici”, racconta Indice. “Mi era capitato anche di peggio sinceramente”.

    Nella prima mattinata di mercoledì Matteo Indice si trovava insieme ai colleghi del Fatto Quotidiano e di Repubblica davanti a una delle sedi principali della Sparkasse, la Cassa di risparmio di Bolzano, perché si pensava che potesse esserci un’accelerazione importante sull’inchiesta riguardante i fondi della Lega.

    “Lo stesso giorno avevamo pubblicato un articolo che riportava aggiornamenti giudiziari importanti, anche se della vicenda si parla ormai da anni, anche con riferimenti alla Sparkasse di Bolzano”, dice il giornalista. “I finanzieri sono arrivati poco dopo di noi per iniziare le perquisizioni all’interno della banca”.

    Indice racconta che in un primo momento lui e i colleghi sono stati avvicinati dagli agenti, che hanno chiesto loro di non entrare in banca perché era in corso un’operazione.

    Dopo un po’ i finanzieri sono tornati e hanno chiesto a tutti e tre di seguirli in caserma.

    “Saranno state le 7.55 del mattino. Da quel momento fino a quando ci hanno lasciato andare sono passate tre ore abbondanti”, dice Indice. “In caserma ci hanno interrogato come testimoni in un’indagine per violazione del segreto istruttorio, come dimostra il verbale che ho sottoscritto”.

    “Siamo stati interrogati più o meno un’ora ciascuno, rimanendo per il resto in attesa in caserma”, racconta. “Durante gli interrogatori ci sono state chieste delucidazioni anche abbastanza dettagliate sia sulla nostra presenza a Bolzano sia sugli articoli che avevamo pubblicato la mattina stessa”.

    Quanto è accaduto ha provocato una decisa reazione da parte della Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi), che in un comunicato ha condannato “il comportamento intimidatorio messo in atto da magistratura e polizia giudiziaria nei confronti dei colleghi impegnati a illuminare una delle vicende più oscure di questi ultimi anni”.

    “Sorprende la scelta ‘muscolare’ di magistratura e polizia giudiziaria, il loro tentativo di imbavagliare l’informazione e imbrigliare la libertà di stampa”, si legge nella nota.

    “Non lo definirei un atto intimidatorio, mi sembra eccessivo”, dice Matteo Indice, che ha una carriera di oltre vent’anni alle spalle in cui si è occupato prevalentemente di indagini giudiziarie e inchieste.

    Quello che è accaduto, ci tiene a precisare il giornalista, non ha avuto “alcun tipo di modalità drammatica”.

    “Siamo tre giornalisti molto avvezzi a occuparci di temi legati alla criminalità, quindi è abbastanza normale fare delle ore di attesa in una caserma”, aggiunge. “Ho rilevato solo un esercizio dell’azione penale un po’ anomalo. C’erano forme molto più lineari per farlo. Sembrava quasi un atto simbolico”.

    “Se erano gli articoli pubblicati quella mattina a rappresentare una violazione del segreto istruttorio”, osserva Indice, “potevano legittimamente esercitare l’azione penale, inviandoci un avviso di garanzia o convocandoci per un interrogatorio nella veste di indagati, quindi con l’assistenza di un avvocato”.

    “In quel caso però avrebbero dovuto inviare sei avvisi di garanzia, perché su ciascun articolo di ognuno dei tre giornali c’erano due firme”, aggiunge.

    La stranezza sta quindi nel fatto che la Guardia di Finanza abbia coinvolto solo i tre giornalisti che si trovavano fuori dalla banca in concomitanza con la perquisizione, come se questo potesse rappresentare in qualche modo un comportamento non regolare. Ma evidentemente stare fuori da una banca non può trattarsi di un reato.

    “In più siamo stati interrogati come testimoni, quindi senza il diritto di avere un avvocato o senza potersi avvalere della facoltà di non rispondere”, dice l’inviato de La Stampa.

    I tre cronisti avrebbero per esempio potuto opporre il segreto professionale, appellandosi al codice deontologico dei giornalisti. “Per quanto”, spiega Matteo Indice, “ci è stato rimarcato più volte che opporre il segreto professionale è proibito, laddove questo impedisca di scoprire l’autore di un reato”.

    “Dopo tre ore e mezza, ci siamo rimessi a lavorare, esattamente come prima”, conclude. “È stato solo un episodio eccessivo, tutto qua”.

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