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Cosa accadde a Genova nel 2001

Nel pomeriggio del 20 luglio, durante il vertice del G8 a Genova, un manifestante italiano di 23 anni rimase ucciso durante uno scontro con le forze dell'ordine

Di Fernanda Pesce Blazquez
Pubblicato il 31 Lug. 2015 alle 16:46

Dal 19 al 22 luglio del 2001 si svolse a Genova, in Italia, il G8, il vertice fra i capi di governo dei maggiori Paesi industrializzati al mondo. Durante le quattro giornate dell’incontro, la città divenne teatro di manifestazioni che videro protagonisti diverse associazioni pacifiste e membri del movimento no-global, contrario al fenomeno della cosiddetta globalizzazione. 

Le proteste sfociarono spesso in accesi scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine. In uno di questi, il manifestante e anarchico italiano Carlo Giuliani, di 23 anni, rimase ucciso da un colpo di pistola del carabiniere ausiliare Mario Placanica, allora ventenne. Era il 20 luglio del 2001.

Che cosa accadde in Piazza Alimonda il 20 luglio 2001: i fatti 

Durante la seconda giornata del vertice G8 a Genova si tennero diversi cortei. Molti attivisti, seppur di matrice pacifista, erano decisi a violare la zona rossa, ovvero l’area riservata nel centro della città severamente interdetta al pubblico per ragioni di sicurezza.

L’area circondava il Palazzo Ducale, in cui si è svolto il vertice G8. Per l’occasione, la questura di polizia di Genova divise strategicamente la città in varie zone, altamente monitorate per via del rischio incidenti e attentati.

I manifestanti consideravano questa demarcazione geografica come “una concreta limitazione al diritto di manifestare il pensiero e quindi di esprimere una critica all’operato dei partecipanti al G8”.

Nel corso della mattinata del 20 luglio, un gruppo di manifestanti vestiti di nero e dal volto coperto, conosciuti con il nome di Black Bloc (blocco nero), si aggirava per il centro della città distruggendo vetrine, incendiando mezzi e cassonetti.

Le persone che apparentemente facevano parte del gruppo Black Bloc si divisero poi nei pressi di corso Torino in due direzioni: una verso il carcere di Marassi e l’altra verso piazza Manin, nel quartiere di Castelletto. Il blocco nero avrebbe poi preso di mira il carcere verso le ore 15, prendendolo a sassate e rompendone alcune finestre.

Secondo diverse ricostruzioni, in più occasioni nel corso del vertice G8, le forze dell’ordine non intervennero per fermare i disturbi causati dai Black Bloc. Ma va detto che, nella mattinata del 20 luglio, il blocco venne comunque inseguito e caricato.

Inoltre, non è del tutto chiaro, ancora oggi, il motivo per cui – come mostrato in alcuni filmati – alcune persone con il volto coperto si avvicinarono per parlare dapprima con le forze dell’ordine e in seguito con i Black Bloc.

Le Tute Bianche, un movimento di disubbidienza civile affiliato principalmente ai centri sociali italiani del nord-Italia che propone la strategia di dialogo e comunicazione come strumento di protesta non violenta, stavano nel frattempo avviandosi lungo un tragitto autorizzato verso Piazza Verdi, nei pressi della stazione ferroviaria di Brignole.

Il corteo era composto da circa 10mila persone vestite con armature di polistirolo, gommapiuma e con in mano bottiglie di plastica e scudi di plexiglass. 

In via Tolemaide, a circa 500 metri dalla stazione di Brignole, il corteo venne aggredito da un reparto speciale dei carabinieri con lacrimogeni, nonostante il percorso delle Tute Bianche fosse stato precedentemente autorizzato e concordato con la questura di Genova.

Le cariche contro il corteo non fecero che aumentare la tensione ma, per ciascuna di queste, le forze dell’ordine indietreggiarono di alcuni metri fino a raggiungere l’angolo con Corso Torino, un incrocio significativo per la scena che seguirà.

Come riporta la prima sentenza del dicembre 2007 del Tribunale di Genova, “il lancio di
lacrimogeni e la successiva avanzata dei Carabinieri nello slargo di Corso
Torino costituisce atto d’autorità compiuto senza che esistesse un’apprezzabile
necessità di impiegare la forza”. 

Il manifestante Carlo Giuliani indossava un pantalone della tuta blu, una canotta bianca e un passamontagna blu quando, verso le 16 e 30 circa, si unì al corteo delle Tute Bianche, nel tentativo di reagire alle cariche continue di lacrimogeni e idranti urticanti delle forze dell’ordine.

Le autorità attaccarono nuovamente i manifestanti, tornati in via Tolemaide, che risposero violentemente, tirando sassi e rilanciando alcuni lacrimogeni verso i carabinieri. Le forze dell’ordine cercarono di disperderli, ma non ci riuscirono. 

Verso le 17.00 si verificò una nuova carica da parte dei dimostranti e i carabinieri dovettero indietreggiare su piazza Alimonda. Alcuni carabinieri, accorsi in rinforzo, erano alla guida di due Land Rover defender e tentavano di spostarsi in retromarcia, in modo da evitare il plotone di manifestanti infuriato e al fine di raggiungere i colleghi nella via adiacente alla piazza, via Caffa.

Uno dei due Land Rover defender dei carabinieri rimase bloccato davanti a un cassonetto della barricata che avevano nel frattempo eretto i manifestanti in piazza Alimonda. All’interno del veicolo si trovava il carabiniere ventitreenne Filippo Cavataio, alla guida, che fece salire sul defender dei carabinieri l’ausiliario Dario Raffone, anch’egli ventenne, e il coetaneo Placanica, dal momento che erano rimasti intossicati dai lacrimogeni. 

Come riportato nella sentenza del dicembre 2007 del Tribunale di Genova, le autorità sostennero che le cariche erano state ritenute necessarie onde evitare un attacco da parte dei manifestanti contro le forze dell’ordine.

Tuttavia, da una ricostruzione delle fotografie scattate e altre testimonianze, emerge che l’offensiva dei carabinieri fu lanciata senza che i manifestanti si fossero mostrati ostili alle forze dell’ordine in un primo momento. 

(Didascalia dell’immagine qui sotto: Carlo Giuliani indossa il passamontagna blu e sta per prendere in mano un estintore, che avrebbe presumibilmente potuto scagliare contro la camionetta dei carabinieri lì vicino. Dalla fotografia emerge anche che la pistola del carabiniere era già puntata contro un altro manifestante prima che Giuliani manifestasse l’intenzione di lanciare l’estintore contro la camionetta, mentre però un altro manifestante ancora – l’ultimo sullo sfondo nell’immagine qui sotto – si stava scagliando contro la camionetta con in mano una trave di legno, un atto definito da molti ingiustificabile e che avrebbe potuto produrre danni molto gravi).

Nel frattempo, alcuni attivisti cercarono di tornare in via Tolemaide, mentre altri si scagliarono contro il defender dei carabinieri. Al momento dello scontro in piazza Alimonda, anche alcuni fotografi si trovavano intorno alla camionetta.

Come appare nella didascalia della fotografia, un manifestante, Massimiliano Monai (che nella foto qui sopra è sullo sfondo) si scagliò con una trave contro la camionetta dei carabinieri.

Un altro attivista lanciò l’estintore contro il defender dei carabinieri, colpendo e frantumando il lunotto posteriore, da cui spuntò in seguito la pistola del carabiniere Mario Placanica, che tentava di spaventarli e quindi cessare la rivolta.

Carlo Giuliani si avvicinò per raccogliere l’estintore. Si trovava a pochi metri dalla camionetta dei carabinieri e, nell’alzarlo in aria, manifestò la volontà di lanciarlo contro il veicolo. Alle ore 17 e 27, Placanica sparò il primo colpo di pistola. Giuliani, colpito alla testa, cadde a terra immediatamente: era ancora vivo.

Subito dopo Placanica sparò di nuovo per allontanare i manifestanti inferociti. In pochi secondi il defender dei carabinieri guidato da Cavataio ripartì per tornare in via Caffa, strada adiacente alla piazza, passando due volte sul corpo di Carlo Giuliani, in retromarcia, dapprima sul bacino e in seguito sulle gambe.

Dallo zigomo sinistro di Giuliani, che nel frattempo stava perdendo la vita, usciva sangue incessantemente. La scena, ripresa più volte da giornalisti e fotografi, diventerà una delle immagini più emblematiche del vertice G8 di Genova.

Carlo Giuliani morì pochi secondi dopo, e non sul colpo, visto che furono riscontrate tracce di sangue nelle vie aeree dell’apparato respiratorio, che suggerivano avesse respirato per alcuni secondi prima della sua morte.

Le forze dell’ordine circondarono il corpo e le infermiere volontarie che lo soccorsero gli tolsero il passamontagna, notando un’altra ferita, che non sanguinava, sulla fronte, che sembrò essere stata inflitta da una pietra, in seguito al colpo di pistola di Placanica e non prima.

Questo fatto lo avrebbe inoltre confermato una dottoressa, volontaria del Genoa Social Forum, all’agenzia Ansa circa un’ora più tardi. L’autopsia non fece mai riferimento al resto delle lesioni riscontrate sul volto di Giuliani.

Il primo fotografo ad arrivare sul campo fu Eligio Paoni, dell’agenzia Contrasto, che venne brutalmente aggredito dalle forze dell’ordine, nonostante avesse mostrato loro l’accredito stampa. Le sue immagini del corpo di Giuliani furono distrutte insieme alla Leica che gli fu sottratta durante il pestaggio. 

Vi sono molti dubbi sul perché le forze dell’ordine stanziate in via Caffa non intervennero durante l’attacco dei manifestanti al defender dei carabinieri e sul perché il passamontagna di Giuliani non risultasse danneggiato nonostante la profonda ferita sulla fronte, estranea al colpo di pistola. Il caso dell’omicidio di Carlo Giuliani venne archiviato in nome della legittima difesa e per l’uso legittimo delle armi nel corso di una manifestazione. 

L’inchiesta e l’archiviazione per legittima difesa e l’uso legittimo delle armi in manifestazione 

In seguito all’omicidio si aprirono le indagini preliminari condotte dal pubblico ministero Silvio Franz. Il 27 agosto 2002 l’inchiesta venne riaperta per tentato omicidio a carico di tre manifestanti presenti in piazza Alimonda il 20 luglio 2001. Il pubblico ministero avanzò una richiesta di archiviazione per il carabiniere Mario Placanica e per Filippo Cavataio, che era alla guida del defender. 

Nel documento della richiesta di archiviazione della Procura di Genova furono riportati i risultati dell’autopsia di Carlo Giuliani, senza citare la ferita al cranio, che stabilivano come causa della sua morte il colpo d’arma da fuoco inflitto da Placanica. Non fu accertato se le manovre del defender sul suo corpo gli avessero causato o meno lesioni mortali.

Nello stesso documento furono riportate le lesioni sul corpo di Placanica che presentava un trauma cranico e una forte contusione alla gamba destra, tra le altre. All’interno del defender, come riportato, furono trovate alcune pietre insanguinate e numerose ammaccature esterne dovute a oggetti contundenti, oltre che la rottura dei vetri laterali e di quelli posteriori.  

L’avvocato penalista Giuliano Pisapia, difensore della famiglia Giuliani, presentò un’opposizione alla richiesta di archiviazione nella quale dichiarava che Placanica non si fosse limitato a mostrare l’arma per minacciare i manifestanti, ma avesse tolto la sicura ben prima che la vittima prendesse in mano l’estintore per scagliarlo.

Secondo Pisapia, dalle dichiarazioni del carabiniere non emergeva che questo avesse visto Giuliani con l’estintore in mano e che quindi non fosse possibile invocare la legittima difesa, dal momento che non vi può essere necessità di difesa se non si ha neppure avuto la percezione del pericolo. 

L’inchiesta si concluse il 5 maggio del 2003. Sarà il giudice per le indagini preliminari Elena Daloiso a decidere per l’archiviazione delle indagini, in nome della legittima difesa, come richiesto dal pubblico ministero Franz, e per uso legittimo delle armi in manifestazione.

Secondo quanto riportato sull’ordinanza, Mario Placanica aveva sparato con il solo intento di impaurire gli aggressori e non poteva rispondere della morte di Carlo Giuliani, posto che la situazione richiedeva l’uso dell’arma, giustificata anche dall’uso legittimo delle armi in manifestazione. 

Dall’inchiesta emerse che il proiettile sparato da Mario Placanica era stato deviato da un sasso. Il bersaglio intermedio del proiettile esploso sarebbe stato un calcinaccio che si trovava a un’altezza dal suolo di circa 1 metro e 90, motivo per il quale si escluse che il bersaglio premeditato potesse essere Giuliani, che era invece alto circa 1 metro e 65 centimetri.

Riguardo alla posizione spaziale del calcinaccio, i consulenti della famiglia Giuliani sostennero che la pallottola non potesse essere stata deviata da un bersaglio intermedio poiché sarebbe incompatibile con le tempistiche dei filmati della sparatoria.

Esistono alcuni contrasti tra le ricostruzioni della magistratura e quelle dei legali della famiglia Giuliani, fra cui per esempio la distanza di Carlo Giuliani rispetto al defender al momento dello sparo: l’accusa sosteneva fosse di 1 metro e 75 circa e la difesa di 3 metri e 30.

Una fotografia, scattata dal fotografo dell’agenzia giornalistica Reuters Dylan Martinez, fu considerata fuorviante dalla famiglia di Giuliani, secondo i quali il ventenne appariva più vicino alla camionetta di quanto realmente fosse nella realtà. 

(Qui sotto la foto Reuters nella quale si vede la pistola di Placanica puntata contro Giuliani che impugna l’estintore. Credit: Dylan Martinez)


Quanto alla modalità della morte di Giuliani, il referto indicava non vi fosse “alcuna lesione interna apprezzabile, ma solo piccole contusioni escoriate ed ecchimotiche in corrispondenza dei punti di appoggio al suolo del soggetto, lesioni di assoluta modestia” e che il decesso fosse avvenuto per lesioni secondarie a un colpo d’arma da fuoco, escludendo ogni ipotesi di colluttazione. 

Sull’accaduto in piazza Alimonda sono state condotte numerose inchieste non riconosciute ufficialmente. L’orrore di Piazza Alimonda è una delle inchieste effettuate in seguito alla morte di Giuliani, nella quale si è provato a contestualizzare il sasso che comparirà, solo dopo lo sparo, nella scena del delitto, tra le altre controversie.

La vicenda del sasso rimane ancora oggi molto intricata. La celebre frase urlata dal vice questore Lauro, “Tu l’hai ucciso col tuo sasso!”, si riferisce proprio al calcinaccio insanguinato nella fotografia qui sotto, che apparve solo in seguito sulla scena del delitto. Il vice questore, nel pronunciare la frase, si rivolgeva a un manifestante che sulla gradinata della chiesa di piazza Alimonda gridava: “Assassini!”. 

Nell’inchiesta venne inoltre analizzato il passamontagna che indossava Giuliani al momento della sua morte, del quale la famiglia riuscì a entrare in possesso. Fu pubblicata una foto della polizia scientifica che mostrava la grave ferita sulla fronte della vittima e dall’analisi del passamontagna non si riscontrò alcuna lacerazione del tessuto, se non il foro del proiettile.  

(Nella foto che segue il sasso che venne trovato accanto al corpo di Carlo Giuliani) 

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