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Tagliarsi per sentirsi meglio, il fenomeno del cutting tra gli adolescenti italiani

Aumentano i casi di autolesionismo tra gli adolescenti. Gli psicologi parlano al TPI: tra le cause, l'incapacità di sopportare rabbia e frustrazione

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 6 Feb. 2017 alle 18:47 Aggiornato il 22 Dic. 2017 alle 11:10

“La pelle è il confine col mondo, il corpo è l’unica cosa sulla quale un adolescente – in quella fase della vita – sente di avere un potere, e quel potere lo affascina”.

Tagliare, incidere, ferire la pelle, gambe e braccia con lamette, coltelli affilati, temperini, punte di vetro, lattine usate: è il cutting, una forma di autolesionismo che comprende una vasta gamma di comportamenti tra cui soprattutto il taglio, ma anche piccole ustioni, graffi ed ematomi e che comincia a diventare un fenomeno corposo in Italia tra i ragazzi di età compresa tra i 12 e i 18 anni.

Può trattarsi di un singolo episodio o diventare un’abitudine, ma l’autolesionismo – espresso in questa forma di violenza – secondo gli esperti è un fenomeno in crescita, da non sottovalutare, e figlio di una società che chiede ai ragazzi sempre di più, sempre più in fretta, troncando le gambe ai tempi necessari ad un essere umano per diventare un adulto.

La ricerca condotta dall’istituto di Ortofonologia di Roma su un campione di ragazzi che si sono rivolti ai diversi sportelli d’ascolto diffusi nelle scuole romane restituisce un quadro allarmante.

Il 70 per cento sono ragazzine dai 12 ai 14 anni, che nella maggioranza dei casi scelgono di ferirsi le braccia con la lametta. Il 19 per cento, uno su cinque, riesce a smettere di tagliarsi, ma solo grazie al supporto degli psicoterapeuti esperti degli sportelli.

Il 90 per cento dei soggetti che praticano il cutting è di sesso femminile: ragazze tra i 12 e i 18 anni con una concentrazione del 70 per cento tra i 12 e i 14 anni. Sono gracili, esili, depresse e chiuse nella loro solitudine. Nove su dieci si tagliano, raramente si fanno auto-tatuaggi (il 6 per cento) o si mordono (il 4 per cento).

Strumenti. Nel 57 per cento dei casi lo strumento più utilizzato per provocarsi lesioni è la lametta, seguita dalle forbici (21 per cento), il taglierino (11 per cento), la lama del temperino (7 per cento) e il coltello (4 per cento).

Dove ci si taglia. La parte più ferita del corpo sono le braccia (53 per cento). Ai polsi punta il 21per cento ma si fanno male anche alle gambe (il 17 per cento) e alla pancia (il 9 per cento). Nel 65 per cento dei casi le ferite sono inflitte su una singola parte del corpo.

Secondo l’indagine dell’IdO, il 17 per cento dei giovani che si taglia lo fa per emulare un amico o perché ha conosciuto il fenomeno tramite il web, i social network e i blog.

In rarissimi casi gli adolescenti si confrontano con i genitori, per lo più parlano con i coetanei: il 58 per cento dei cutters che si è rivolto agli sportelli d’ascolto dell’istituto romano si è confidato con un’amica o amico; il 10 per cento lo aveva detto o scritto a un insegnante; solo l’11 per cento è riuscito a parlarne in famiglia, dopo essere stato scoperto dai genitori, e ha avuto modo di vedere uno specialista.

Ci si può tagliare una sola volta, per provare, oppure assiduamente. “Il 73 per cento dei giovani ascoltati dagli esperti dell’IdO ha affermato che lo fa da mesi, il 20 per cento addirittura da anni (a volte con dei periodi di pausa). Solo il 7 per cento lo ha fatto una singola volta”, scrivono nel report le psicoterapeute dell’equipe Fabiana Gerli e Silvia Cascino.

Perché ci si taglia. La quasi totalità dei ragazzi che parla dei loro tagli ha in comune una storia di solitudini, incomprensioni e incomunicabilità con i genitori, oltre a una scarsa accettazione di se stessi e una bassa autostima.

Le motivazioni che gli esperti riconducono a questa pratica sono diverse, secondo il direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma, il dottor Federico Bianchi di Castelbianco, i ragazzi si tagliano per un malessere interno, un malessere forte, un’incapacità di sentirsi vivi: “C’è una depressione di sottofondo che può sfociare in questa forma di violenza, con i tagli i ragazzi confermano a loro stessi di essere vivi”, spiega il direttore.

“Sono tagli che si compiono nel privato, non sono gesti che si condividono, non c’è esibizionismo, non sono legati ad una moda: è un’esperienza privata e dolorosa che si compie in piena solitudine”.

“Bambini sempre più adulti sottoposti a pressioni psicologiche, ad aspettative e richieste sempre maggiori, tutto si è abbassato, anche l’età dei primi rapporti sessuali”, spiega Bianchi, “i genitori non danno ai ragazzi il tempo per crescere. L’autolesionismo è una risposta all’incapacità educativa e all’incapacità di opporsi e di correggere i comportamenti sbagliati. Si arriva così ad avere atteggiamenti forti, non solo il cutting, ma anche il bere il sangue dell’altro o bruciarsi con le sigarette”.

Secondo Ada Moscarella, psicologa e psicoterapeuta, nonché Socio clinico SIPPR (Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale), “é un fenomeno legato alle turbolenze adolescenziali e che segnala qualcosa che non va di più profondo, alle volte dietro c’è una dipendenza da sostanze tossiche ma non è necessariamente un disturbo psicologico quello che c’è alle spalle”.

“Quando i ragazzi si tagliano”, spiega Moscarella, “provano calma, è un meccanismo di regolamentazione anche fisiologica del proprio corpo. I dolori provocati dai tagli fanno affogare nelle endorfine rilasciate dal cervello durante il taglio altri tipi di pensieri. Questi ragazzi non riescono a capire in quale stato emotivo si trovino. Nel momento in cui si fanno male, trasferiscono quello che c’è nella mente sul corpo e si sentono più calmi. Dopo averlo fatto spesso provano un senso di vergogna, un senso di colpa, bisogna aiutarli a trovare alternative. Sono ragazzi che si sentono isolati, bisogna aiutarli ad investire sul gruppo dei pari”.

Secondo la dottoressa Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, tra le motivazioni c’è l’incapacità di reggere la rabbia, l’angoscia o la sensazione che le cose non vanno come vorremmo. L’incapacità di sopportare i rimproveri e di misurarsi col dolore: “Se non ci si tagliasse si impazzirebbe per la sofferenza”, raccontano alcuni ragazzi alla psicoterapeuta. “Mentre ci si taglia i pensieri si concentrano tutti su quello che si sta accadendo al nostro corpo. C’è un’insoddisfazione di sé, non si ha una buona autostima e qualunque problema è vissuto male. I ragazzi non sanno cosa fronteggiare le emozioni così forti e grandi che provano”.

“I ragazzi che vengono in terapia si sentono male solo al pensiero di quello che hanno fatto, e gli episodi divengono dei ricordi inavvicinabili”, racconta Giammetta. “Certo non funziona così per tutti, in altri casi si parla di sollievo rispetto a come ci si sentiva prima, salvo poi rendersi conto che è un comportamento privo di senso”.

Il comportamento dell’autolesimonismo è molto diffuso, alcune cifre parlano di 200.000 ragazzi ma è un numero inesatto, che soffre l’incapacità dei ragazzi di raccontare il proprio disagio. Un fenomeno difficile da intercettare perché chi si taglia e va allo sportello spesso ha amici che si feriscono a loro volta e non lo dicono a nessuno.

Campanelli d’allarme. secondo la Moscarella, esistono dei segnali che possono far capire che ci si trova dinanzi a ragazzi che si tagliano: “A volte capita che questi ragazzi non hanno il coraggio di mandare segnali espliciti ma questo non vuol dire che non li mandino: abbigliamento fuori stagione, maniche lunghe d’estate, le chiazze di sangue in bagno, elementi che possono essere notati dai genitori”.

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