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Il codice di condotta per le Ong voluto da Minniti ha fallito?

Un bimbo di tre mesi è morto la mattina del 18 gennaio nell'attesa di un trasporto sanitario d'urgenza. Il caso riapre la domanda sugli effetti de codice di condotta per le Ong nel Mediterraneo

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 19 Gen. 2018 alle 16:43 Aggiornato il 19 Gen. 2018 alle 18:12

Nonostante il tempo avverso e il mare in tempesta, dalle coste della Libia sono riprese le partenze dei migranti in direzione dell’Italia.

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A rischiare la vita a bordo di gommoni e barconi sono soprattutto tunisini, nigeriani, gambiani, eritrei che salpano dalle coste a est di Tripoli.

Le Ong presenti nel Mediterraneo sono sempre meno e riuscire a soccorrere tutti è diventata una corsa contro il tempo.

Un bimbo di tre mesi, Haid, salvato il 16 gennaio dalla nave spagnola Proactiva Open Arms, è morto la mattina del 18 gennaio nell’attesa di un trasporto sanitario d’urgenza.

“La Guardia Costiera fa del suo meglio e cerca di intervenire quanto prima per le evacuazioni mediche, ma siamo in pochi ed è chiaro che i trasbordi da una nave all’altra diventano sempre più difficili”, raccontano da Proactiva Open Arms.

La nave umanitaria aveva chiesto un trasbordo urgente: il bambino di tre mesi era in gravi condizioni e doveva essere portato a terra. Haid non riusciva ad alimentarsi. L’assenza di navi in zona ha però reso impossibili i soccorsi e il neonato è morto.

Un giovane e un bambino morti durante la traversata nel Mediterraneo il 16 gennaio. credit: Proactiva Open Arms

Sullo stesso barcone soccorso dalla Proactiva Open Arms c’erano anche una donna con un parto prematuro e i corpi di altre due vittime, un bambino e un giovane, recuperati tra i 400 migranti ammassati in uno scafo a due piani. 

“L’evacuazione medica – specificano da Open Arms – avviene solo per i casi gravi e per chi si trova in pericolo di vita, quando i migranti soccorsi hanno problematiche risolvibili a bordo non viene richiesta”.

Sono 11 le operazioni di soccorso che si sono susseguite negli ultimi giorni al largo delle coste della Libia. Complessivamente 1.636 sono le vite salvate. Non si sa quanti siano i dispersi:

I dati del ministero dell’Interno, che non comprendono però i salvataggi dal 16 gennaio, indicano che 974 persone sono sbarcate nei primi 15 giorni del 2018, il 59 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2017.

In 544 sono partiti dalla Libia, il 75 per cento in meno rispetto allo scorso anno. Tra le nazionalità dei nuovi arrivi di quest’anno prevalgono i senegalesi (90), seguiti da tunisini (67), nigeriani (56) e gambiani (50).

Dopo il codice di condotta voluto dal ministro dell’Interno Marco Minniti, oggi nella foto del Mediterraneo appaiono molti meno attori umanitari, ma la situazione resta più che critica.

Di Ong ne sono rimaste 5 e dispongono di un paio di grandi navi più 5 imbarcazioni di minori dimensioni, tipo pescherecci. 

Save the Children è rimasta fino al 30 ottobre 2017, poi la nave Vox Hestia, in mare dal settembre 2016, è rientrata in porto.

Medici senza Frontiere non c’è più, è l’unica Ong a non aver firmato il codice di Minniti e già da tempo ha ritirato la sua nave Prudence: resta uno staff di 11 persone a bordo della nave Aquarius di proprietà dei colleghi di SOS Méditerranée. 

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Anche Moas si è ritirata, l’Ong fondata da Christoper e Regina Catrambone e arrivata nel 2014 con Mare Nostrum. Dopo l’estate delle polemiche ha firmato il codice ma poi si è spostata nel sud est asiatico per salvare i Rohingya.

Restano SOS Méditeranée, la spagnola Proactiva, con la nave Open Arms, la tedesca Sea Eye con 2 barche, entrambe ex pescherecci, di 27 metri ciascuno.

Le ultime due Ong sono Sea Watch e la tedesca Mission Lifeline, l’ultima scesa in mare con una imbarcazione affittata da Sea Watch e le attrezzature di salvataggio donate da Moas prima di ritirarsi.

La Iuventa della Ong tedesca Jugend Rettet è ferma, sequestrata dalla procura di Trapani.

Se il codice di condotta abbia portato gli effetti sperati dal ministero dell’Interno è ancora presto per dirlo.

Resta però aperta la domanda su quanto quel codice abbia modificato gli assetti nel Mediterraneo e se la relativa diminuzione delle Ong attive nelle operazioni di salvataggio non comporti conseguenze più pesanti di quelle che fino a oggi l’opinione pubblica e la politica abbiano immaginato.

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