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Decreto sicurezza, il comandante De Falco: “Di Maio mi ha chiesto di non fare cadere il governo”

Credit: Afp

Il senatore dissidente pentasellato parla dei dissidi interni al Movimento, dopo le dichiarazioni dei colleghi di Palazzo Madama Paola Nugnes e Matteo Mantero, che hanno annunciato il loro voto contrario al decreto Sicurezza.

Di Marta Facchini
Pubblicato il 31 Ott. 2018 alle 11:17

Gregorio De Falco, il senatore dissidente del Movimento 5 Stelle, continua a sostenerlo: il decreto sicurezza è incostituzionale e lede i principi della Carta. “Io rimango libero. Non aspiro a diventare frontman di nulla. Mi attengo al programma, al contratto di governo, e al parere dei costituzionalisti”, ha detto il comandante che aveva ordinato a Francesco Schettino di risalire a bordo della nave Concordia che affondava.

Intervistato dal Corriere della Sera, De Falco parla delle motiviazioni che lo spingono a dubitare del decreto Sicurezza, una presa di posizione che segue a quella dei colleghi di Palazzo Madama Paola Nugnes e Matteo Mantero, che hanno annunciato il loro voto contrario e hanno accusato il Movimento di spostarsi sempre più a destra.

“Di Maio mi ha cercato. Ci siamo sentiti via messaggio qualche giorno fa. È stato cordiale e amichevole come al solito. Mi ha chiesto di non far cadere il governo”, ha spiegato al quotidiano di via Solferino.

“Ma scusate, pensate davvero che un governo possa cadere per De Falco? Sung nu fess? Con tutti i condoni, la Tap, la Tav, la Bce, pensate che caschi con i miei emendamenti?. L’altro giorno ho incontrato anche il premier Conte. Gli ho spiegato che da 24 emendamenti scendevo a 8 e poi a 6, il minimo indispensabile. Perché ci sono profili di incostituzionalità nel decreto. Mi è sembrato che fosse d’accordo, anche se ha chiesto tempo per studiare meglio. In un caso bastava cambiare una virgola”, ha aggiunto il senatore pentastellato.

Non solo. Anche sugli accordi con la Lega, De Falco espime dubbi: “Io sono stato un sostenitore del governo con la Lega. Perché noi eravamo al 32 per cento, loro al 17. Poi la realtà si è capovolta. Il problema non è Salvini, siamo noi. Che siamo gli azionisti di maggioranza e non ci facciamo valere”.

Tuttavia, nonostante i constrasti interni, il senatore ribadisce la volontà di rimanere nel Movimento: “Io non me ne vado. Resto nel M5s come resto nella Marina militare, avendo sempre come bussola la Costituzione. Se mi cacciano dirò quello che ho fatto e il motivo per cui sono stato mandato via. Un proverbio dice: puoi costringere il mulo ad andare alla fonte, ma non puoi costringerlo ad abbeverarsi. La fonte è ovviamente il diritto”.

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