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Sai cosa fare se incontri un uomo violento? Ecco cosa devi sapere

Il 28 febbraio 2018 il carabiniere Luigi Capasso si è tolto la vita dopo aver ucciso le figlie e ferito gravemente la moglie. Se si incontra un uomo violento, ecco cosa si può fare prima che la situazione precipiti

Di Noemi Valentini
Pubblicato il 2 Mar. 2018 alle 09:30 Aggiornato il 16 Mar. 2018 alle 12:59

Il 28 febbraio 2018, a Cisterna di Latina, l’appuntato dei carabinieri Luigi Capasso si è tolto la vita facendo fuoco con la sua arma d’ordinanza, dopo aver ferito la moglie e ucciso a colpi di pistola le due figlie di 7 e 13 anni, con le quali era rimasto barricato in casa per ore.

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L’efferata strage familiare sembra essere stata scatenata dalla separazione tra l’assassino e la moglie Antonietta Gargiulo, attualmente ricoverata all’Ospedale San Camillo di Roma in attesa di essere operata per via dei colpi subiti alla mandibola, alla scapola e all’addome.

L’uomo non aveva infatti accettato che Antonietta avesse tentato di sottrarsi alle sue violenze, allontanandogli le bambine, le quali, secondo le dichiarazioni di Maria Concetta Belli, avvocata della vittima, erano terrorizzate dal padre.

“La situazione tra la coppia era tesa e si era aggravata quando a settembre lui aveva aggredito la moglie davanti alla fabbrica della Findus, suo luogo di lavoro, occasione in cui dovettero intervenire i colleghi di lei per difenderla. In altre occasioni, l’uomo l’aveva aggredita anche a casa davanti alle bambine”, spiega Belli.

Dopo l’episodio, Antonietta aveva deciso di chiedere aiuto, presentando in questura un esposto nel quale raccontava i fatti, e il suo timore per l’incolumità della sua famiglia.

Da quel momento Capasso ha cominciato a pedinarla ed appostarsi sotto la casa dalla quale si era allontanato, spostandosi a vivere nelle stanze messe a disposizione dalla caserma.

“Cercava di incontrarla, ma lei, anche su mio consiglio, ha sempre rifiutato tutti gli incontro. Anche quando lui ha svuotato il conto corrente comune e disse che le avrebbe dato i soldi se acconsentiva ad incontrarlo. Mai avvenuto. È sempre stata attentissima, molto prudente” racconta l’avvocata Belli.

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È una storia che, tragicamente, non è unica nel suo genere, e proprio per questo non può lasciare indifferenti. Nel 2016 sono stati ben 120 i casi di femminicidio avvenuti in Italia, a cui si affiancano gli innumerevoli casi di violenza domestica, nei quali otto volte su dieci il contesto e la paura portano la vittima a non denunciare l’accaduto.

Il dovere di fermare l’orrore naturalmente non sta alla donna ma al violento, o alle autorità. Se l’aggressività è una condizione istintiva, infatti, la violenza è il frutto di una scelta consapevole, un comportamento appreso che viene applicato al fine di dominare o controllare la vittima.

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I soggetti che si rendano conto di mettere in atto comportamenti violenti possono intraprendere un percorso di dialogo con un professionista per evitare che l’istinto degeneri in violenza, o contattando uno psicologo o un Centro di ascolto per uomini maltrattanti.

In mancanza di un intervento esterno, però, ci sono comunque alcune vie che le vittime stesse possono percorre per riuscire a difendersi ed autotutelarsi.

Ecco cosa si può fare:

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Cosa doveva andare diversamente nella vicenda di Cisterna di Latina

Esaminando le informazioni disponibili si può ipotizzare che qualcosa sia andato storto nella storia di Antonietta Gargiulo. La donna aveva infatti percorso numerose delle vie indicate, riuscendo a riconoscere la violenza, chiedere aiuto e separarsi dal compagno.

Era anche arrivata a chiedere ai servizi sociali di impedirgli di vedere le figlie, terrorizzate, e a parlare direttamente con il comandante di suo marito per esporgli i suoi timori.

Il 26 gennaio, quando venne chiamata in commissariato per rispondere ad un esposto che lui aveva presentato contro di lei, lamentando il fatto che lei non gli permettesse di accedere alla casa, aveva dichiarato: “Ho ancora paura di mio marito per il suo carattere violento e aggressivo e gli farò recapitare i suoi effetti personali. Sino alla data della prima udienza voglio che stia lontano da me e dalle nostre figlie e la smetta di inviarmi messaggi e telefonarmi in continuazione”.

Ma nessuno ha fatto niente, e nell’ultima visita psicoattitudinale a cui si sottopone viene dichiarato idoneo alla professione, consentendogli in questo modo di tenere la pistola d’ordinanza.

Secondo Teresa Manente, avvocata dello studio Teresa Manente & Associate specializzata sulla violenza contro le donne e responsabile dell’Ufficio Legale dell’associazione Differenza Donna, le autorità avrebbero potuto e dovuto procedere d’ufficio contro Capasso.

Come ha spiegato a TPI, “In questo caso si poteva intervenire d’ufficio, perché l’esposto rendeva noto un reato perpetrato nei confronti dei minori. Nei casi di stalking infatti si può intervenire d’ufficio se riguarda minori o se collegato ad un altro reato procedibile d’ufficio, come erano in questo caso le minacce di morte ricevute dalla donna.

Era necessario avviare l’azione, si poteva e si doveva fare. Questa donna aveva manifestato la volontà di chiedere aiuto, e l’ha fatto con l’esposto. C’è stata una gravissima sottovalutazione del pericolo che lei aveva però manifestato, si tratta di omertà culturale. Le leggi ci sono, manca la volontà di lottare contro questo fenomeno, perché lottare a favore della libertà delle donne fa paura”.

Il fatto che siano le autorità ad agire direttamente contro il violento, attraverso ammonimento o provvedimenti d’ufficio, costituisce secondo l’avvocata Manente una forma di protezione nei confronti della vittima.

“Se il provvedimento di allontanamento lo prende l’autorità, senza una richiesta esplicita della donna, lei è più protetta, perché non è lei ad averlo fatto partire, e inoltre l’azione avrà per l’uomo molto più impatto, trovandosi di fronte a qualcun altro che gli dice “quello che stai facendo è sbagliato”. Inoltre in questo modo l’allontanamento non è causato dalla donna, e si rischiano meno ripercussioni su di lei”.

Nella maggior parte dei casi, infatti, le donne desiderano denunciare ma hanno paura di farlo. Un timore d’altronde supportato dai dati, dal momento che dopo la denuncia il rischio di femminicidio aumenta esponenzialmente.

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