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Chiuso per rapina

Sia dal punto di vista tecnico e che da quello patrimoniale, i giorni di gloria del calcio italiano sono finiti

Di Michele D'Alessio
Pubblicato il 4 Mar. 2015 alle 18:26

Due settimane fa, sui cancelli dello stadio “Ennio Tardini” di Parma, alcuni tifosi hanno affisso dei fogli con la scritta “chiuso per rapina”.

La società emiliana è sull’orlo del fallimento, e le vicissitudini, che di giorno in giorno appaiono sempre più grottesche, non hanno tardato ad arrivare anche fuori dai confini nazionali.

Rob Hughes, nella versione on line del New York Times racconta come la storia del Parma sia lo specchio della situazione del calcio italiano, ormai incapace di attirare capitali rilevanti, a differenza di altri grandi campionati, come quello spagnolo e inglese.

Negli ultimi sette anni il Parma Football Club ha compiuto circa settecento operazioni di mercato e attualmente detiene il cartellino di quasi duecento giocatori.

Tutto ciò ha generato un’enorme esposizione debitoria che ha portato all’impossibilità di pagare i dipendenti, e negli ultimi tempi, nel centro sportivo di Collecchio, i calciatori del settore giovanile non hanno potuto nemmeno fare le docce con l’acqua calda.

Tra le ambiguità del nuovo presidente Pietro Manenti, che ha acquistato la società alla cifra simbolica di 1 euro, ogni giorno spuntano nuovi debiti, come quello con la società manutentrice dello stadio.

Come sottolinea Huges, infatti, “i proprietari andavano e venivano, in particolare un uomo d’affari di nome Rezart Taci ha comprato e rivenduto il club in poco tempo, senza nemmeno mai incontrare la squadra”.

Il petroliere albanese Taci, infatti, ha acquistato la società da Tommaso Ghirardi – presidente in carica dal periodo successivo a un altro crack finanziario che ha riguardato il Parma, quello della Parmalat nel 2004 – per poi rivenderla a Pietro Manenti, che nelle ultime settimane ha assicurato di avere i soldi per salvare la baracca.

In realtà, però, le cose vanno diversamente e ogni giorno si succedono i sequestri di beni di proprietà della società, come furgoncini, attrezzature da palestra e addirittura le panchine degli spogliatoi.

Tutto questo a scapito della passione dei tifosi. Oltre al declino patrimoniale, c’è quello tecnico.

Hughes definisce “una delusione” la partita tra Roma e Juventus, che “avrebbe dovuto offrire ben altro spettacolo. La Roma ha puntato su giocatori ormai anziani e in declino, la Juventus ha giocato accontentandosi del pareggio. Non c’è stato spettacolo, ma troppo nervosismo, e l’arbitro ha estratto cartellini gialli come coriandoli”.

È anche vero, dice Hughes, che la Juventus è l’unico club italiano sostenuto da una felice situazione finanziaria, grazie al supporto della famiglia Agnelli.

Il campionato che negli anni Novanta tutti i campioni ambivano, ormai è soltanto un lontano ricordo, anche se qualche segnale di risveglio all’orizzonte si vede.

Sono sei, infatti, le squadre italiane ancora in gioco nelle coppe europee, segno che il potenziale è ancora molto alto, e che con qualche investimento, oltre che molta chiarezza nelle regole, il nostro movimento calcistico può tornare a conoscere nuovi giorni di gloria.

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