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Appalti pubblici senza gara fino a 150mila euro: così il Governo sacrifica la trasparenza

Cosa cambia con le novità introdotte dalla legge di bilancio

Di Claudia D'Urso
Pubblicato il 10 Gen. 2019 alle 08:00 Aggiornato il 10 Gen. 2019 alle 08:04

La nuova legge di bilancio, entrata in vigore il primo gennaio 2019, apporta modifiche sostanziali al Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016). Il governo gialloverde ha introdotto, al comma 912, una deroga al regime del settore lavori, innalzando la relativa soglia di affidamento da 40mila a 150mila euro.

Ciascuna stazione appaltante avrà pertanto la facoltà, e non l’obbligo, di procedere con un affidamento diretto entro la soglia dei 150mila euro, senza indire alcuna gara pubblica, occludendo così il mercato concorrenziale a potenziali operatori economici interessati all’appalto. È prevista infatti la consultazione soltanto di tre operatori economici, ove esistenti.

Il legislatore ha inteso quindi accordare maggior potere discrezionale a ciascuna stazione appaltante, fino al 31 dicembre 2019, e a derogare al regime di affidamento ordinario, che, di norma, prevede maggiore trasparenza per gli appalti sopra-soglia mediante un iter concorsuale, sinonimo di efficienza, economicità, e buon andamento della pubblica amministrazione.

L’affidamento tramite una gara pubblica, invero, viene posto in ossequio al principio di massima partecipazione degli operatori economici in materia di appalti pubblici, nonché al principio di concorrenza di matrice europea, introdotto in Italia grazie ad un copioso lavoro giurisprudenziale della Corte di Giustizia.

Lo stesso settore degli appalti, in Italia, è da sempre il terreno preferito della criminalità organizzata e delle mafie, ove si commettono reati al fine di trarne ingenti profitti a danno dello Stato.

Nei contratti pubblici, storicamente, proliferano i reati di corruzione e turbativa d’asta, tali da arrecare pregiudizi sia al mercato concorrenziale che al buon andamento e all’immagine dei pubblici uffici. Sin dai tempi che furono dei giudici Falcone e Borsellino, e che poi investirono la vicenda di mani pulite con il pool antimafia, la mafia e gli appalti, ai tempi di ieri e a quelli di oggi, vanno sempre a braccetto.

Cosa prevede la legge

La legge di bilancio (n. 145/2018) introduce al comma 912 dell’articolo 1 la seguente disposizione: “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2019, le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere all’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro mediante affidamento diretto previa consultazione, ove esistenti, di tre operatori economici e mediante le procedure di cui al comma 2, lettera b), del medesimo articolo 36 per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro”.

La ratio legis, ovvero le ragioni che hanno indotto lo stesso legislatore ad innalzare la suindicata soglia, sono insite nella volontà di aumentare gli investimenti nel settore lavori, semplificando così un iter burocratico che rischierebbe, secondo il Governo giallo- verde, di bloccare la crescita del Paese.

Nel bilanciamento tra i vari interessi, si legge quindi il sacrificio della trasparenza dell’operato dell’amministrazione pubblica, a vantaggio della sburocratizzazione e del famigerato Pil.

È bene quindi rimarcare il fatto che, soltanto oltre la soglia dei 150mila euro, la imprese hanno l’obbligo di esibire la certificazione antimafia, conseguita al fine di evitare infiltrazioni mafiose all’interno del settore degli appalti. Lo stesso Raffaele Cantone, a capo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, avvertiva lo scorso dicembre 2018, in sede di discussione del progetto di legge di bilancio “il rischio di aumentare la corruzione e gli affari mafiosi”, qualora si fosse innalzata per i Comuni la soglia dei lavori per l’affidamento diretto a 150,000 euro.

I settori dei servizi e delle forniture sono infatti esclusi dalla riforma attualmente vigente fino al prossimo dicembre 2019. Termine entro il quale, lo stesso Governo promuove nuove riforme, in nome della semplificazione e degli investimenti, ad un Codice dei contratti pubblici di difficile applicazione all’interno delle pubbliche amministrazioni, costrette ad un costante aggiornamento.

Il settore Lavori prima della modifica

Prima delle modifiche apportate dalla nuova legge di bilancio, è bene chiarire che il settore dei lavori fosse sottoposto, in caso di soglia superiore ai 40mila euro, all’obbligo dell’indizione della gara pubblica, mediante l’onere di pubblicazione di un bando, ove verificare in primis l’assenza di motivi di esclusione in capo agli operatori economici.

In un secondo momento sarebbe stata sottoposta al vaglio l’offerta in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in confronto con gli altri operatori economici partecipanti alla gara.

Gli oneri di trasparenza e pubblicità incombevano pertanto innanzi a ciascuna stazione appaltante, in caso di affidamento di lavori; la stessa gara è assoggettata alle stringenti regole del diritto amministrativo.

Secondo uno dei più autorevoli autori in dottrina, ovvero Massimo Severo Giannini, la fase della procedura di gara, ovvero dell’aggiudicazione, è sottoposta infatti alle regole dell’evidenza pubblica, ovvero della pubblicizzazione ed alla trasparenza delle commesse pubbliche, nella fase della c.d. spendita della discrezionalità amministrativa da parte di ciascuna stazione appaltante, assoggettata a stringenti oneri motivazionali in sede di deroga alla disciplina pro-concorrenziale, cogente all’interno del nostro sistema.

Queste regole sancite dall’art. 36 del d.lgs. n. 50/2016, sono comuni al settore ordinario degli appalti, e variano a seconda delle soglie che puntualmente vengono aggiornate dai Regolamenti europei, che contengono norme direttamente applicabili in ciascuno Stato membro dell’Unione europea.

Storicamente, da una fase prettamente contabilistica, si è passati ad una fase pro- concorrenziale ove i principi del favor partecipationis e della par condicio competitorum sanciscono l’apertura al libero mercato concorrenziale a tutti gli operatori economici interessanti all’affidamento del contratto di appalto.

Cosa cambia dopo la modifica

Nel settore dei lavori, avremo pertanto l’innalzamento della soglia limite per l’affidamento dei lavori, per un importo inferiore a 150,000 euro, contro l’importo di 40mila euro che era stato in un primo tempo sancito all’epoca dell’emanazione del d.lgs. n. 50/2016.

L’affidamento diretto comporta la scelta discrezionale di ciascuna stazione appaltante, di scegliere l’indizione di una gara, mediante la pubblicazione di un bando, considerata all’interno dei contratti pubblici una vera e propria lex specialis. Oppure di procedere con l’affidamento diretto della commessa pubblica ad un operatore economico, previa consultazione di almeno tre imprese, ove esistenti ed interessate all’affidamento.

In questo secondo caso non sussiste per la stazione appaltante alcun obbligo di pubblicizzare l’affidamento de quo, in deroga alla disciplina prevista per gli altri settori, come ad esempio i servizi o le forniture. La stessa disposizione introdotta dall’art. 1, comma 912, della legge di bilancio, afferma che in caso di soglia rilevante tra i 150mila e i 350mila euro, avrebbe applicazione la procedura negoziata.

Procedura la quale, una volta attivata da ciascuna stazione appaltante, comporterebbe l’obbligo della consultazione di un numero limitato di operatori economici selezionati, forniti delle qualifiche necessarie all’aggiudicazione di un determinato appalto. Tra l’amministrazione procedente e l’operatore economico si avrebbe infatti una sorta di negoziazione delle condizioni della commessa pubblica, in base al criterio di aggiudicazione prescelto.

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