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Il primo Imam dichiaratamente gay a TPI: “Il vero Islam non discrimina, sono i terroristi a renderlo fascista”

Dopo aver rischiato dieci anni di carcere a causa della sua identità sessuale, adesso l'Imam Ludovic-Mohamed Zahed si batte per far riconoscere i diritti della comunità Lgbt all'interno del mondo islamico

Di Davide Traglia
Pubblicato il 31 Ott. 2019 alle 18:29 Aggiornato il 31 Ott. 2019 alle 22:19

 

Intervista al primo Imam dichiaratamente gay

Ludovic-Mohamed Zahed è il primo Imam ad essersi dichiarato omosessuale. Da alcuni anni si batte affinché l’Islam riconosca la comunità Lgbt. Non a caso nel 2012 ha fondato la più antica moschea inclusiva d’Europa, nella città di Parigi, ed è attualmente impegnato all’Istituto CALEM , dove accoglie omosessuali e transessuali musulmani che sono stati cacciati dalle loro famiglie. Ha celebrato diversi matrimoni tra coppie gay ed è stato sposato con un uomo per alcuni anni. Lo abbiamo intervistato per TPI.

Ci racconta la sua storia?

Il mio nome è Ludovic-Mohamed Zahed. Sono nato in Algeria nel 1977. Intorno ai 17 anni mi sono reso conto che ciò che provavo verso altri uomini era chiamato “omosessualità”. Compresi che nella mia cultura questo “stato” era condannato e gran parte della mia famiglia era di religione islamica.

Dopo circa sette anni, smisi di considerarmi un musulmano e mi avvicinai alla spiritualità grazie alla meditazione, al buddismo, al cristianesimo. Poi, qualche tempo dopo, sono finalmente ritornato all’Islam, perché ho capito che c’è bellezza in tutte le culture. Grazie a Dio, sono stato capace di trovare di nuovo la pace non dovendo scegliere tra una parte di me e l’altra, dividermi tra l’omosessualità e la spiritualità.

Ludovic Mohamed Zahed
Credit: Davide Traglia
Ed ora?

Adesso vivo a Marsiglia, dove ho un istituto – “Calem Institute” – in cui tutti sono i benvenuti. Offriamo formazione e sostegno a coloro che fuggono dalla guerra civile o che vengono cacciati dalle proprie famiglie perché di diversa identità sessuale.

Questo è ciò che faccio ora: insegno, trasmetto e cerco di aiutare quanto posso le persone omosessuali a sentirsi accettate e a fare dell’Islam una religione basata sull’emancipazione e non più sull’oppressione e sul fascismo.

Eppure, l’idea che molti hanno dell’Islam è quella di una religione violenta…

L’Islam non esiste da sé, non puoi chiamarlo o mandargli una email. Non risponderebbe. L’Islam non è vivo, noi invece lo siamo. Purtroppo i terroristi dichiarano di essere gli unici veri islamici e i musulmani progressisti sono accusati di infangare la reale identità di questa religione.

L’Islam deve essere una filosofia umanistica universale della vita, deve basarsi su consigli e valori etici e non essere una legge che ci dice cos’è proibito e cosa concesso. È importante educare la nostra gente anche oltre oceano, per fare in modo che si lascino andare, che capiscano che la religione musulmana vuole che siano liberi, in pace con se stessi.

Avrebbe potuto fare quello che fa oggi restando in Algeria?

Assolutamente no, perché lì è ancora un crimine essere omosessuale, promuovere l’omosessualità e parlare dei diritti LGBT come faccio io. Mi sarebbe potuto costare fino a dieci anni di prigione: non soltanto tre per essermi dichiarato gay, ma dieci per averlo promosso.

Sfortunatamente in questo paese si sta sfruttando una sfaccettatura fascista dell’Islam per controllare la popolazione e tenerla lontana dalla democrazia. Lo stesso discorso vale per l’Egitto e l’Arabia Saudita. Ma è un sistema che sta morendo. È morto in Europa, grazie a Dio, e sta pian piano terminando nelle altre parti del mondo.

In Italia le politiche anti-immigrazione hanno portato la destra, da Salvini a Meloni, ad ottenere ampio consenso. Da franco-algerino-musulmano che vive in Francia, qual è il suo parere?

Il razzismo nasce in una società quando si ha paura per la propria sopravvivenza e per quella dei propri figli. In psicologia sociale questo meccanismo è definito “istinto animale” e non ha nulla a che fare con la cultura o con Dio.

Abbiamo visto, grazie a due guerre mondiali, cosa può succedere assecondando questi istinti brutali. Spero che, in Europa come dall’altra parte del mondo, si abbia la forza e l’illuminazione accademica per evitare un altro conflitto globale e la distruzione dell’ambiente – che ci costringerebbe a vivere in porzioni di Terra sempre più piccole – accettando l’idea di essere tutti uguali e di avere, indistintamente, il diritto alla sopravvivenza e alla vita.

Nessuno vuole lasciare il Paese in cui è cresciuto di punto in bianco. La mia famiglia ha lasciato l’Algeria perché c’era una guerra civile, perché le persone morivano ogni giorno per le strade e avevamo le bombe lungo il percorso per tornare a casa. Lasciamo le nostre terre perché come tutti vogliamo sopravvivere.

Credo di potermi definire con modestia un esempio di ciò che un immigrato può diventare grazie alla libertà, all’emancipazione economica e alla formazione che abbiamo qui in Europa. Dobbiamo incoraggiare le persone a liberarsi nei propri Paesi ma nel caso fossero impossibilitati devono venire qui e trovare una stabilità. Dobbiamo accoglierli con dignità, umanità amore e protezione.

***Si ringrazia “Islam and Lenses of Gender”, iniziativa tenutasi a Napoli ed organizzata dal gruppo studentesco Hissa con la collaborazione dell’associazione Dimbaya

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