Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » Gossip

Le dieci lezioni di felicità dell’Università di Berkeley

Credit: Getty Images

Emiliana Simon-Thomas e Dacher Keltner sono i due docenti che da anni si occupano di felicità e così ora la insegnano all'università

Di Cristiana Mastronicola
Pubblicato il 25 Set. 2018 alle 12:34 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 14:13

A Berkeley si insegna la felicità. L’Università della California ha istituito infatti il corso online di Science of Happiness. Gratuito. Emiliana Simon-Thomas e Dacher Keltner sono i due docenti che da anni si occupano di felicità e così ora la insegnano all’università.

Dieci lezioni in tutto: le prime tre sono dedicate a un’introduzione alla scienza della psicologia positiva, le altre sette si suddividono per argomenti: connessione sociale, compassione e gentilezza, cooperazione e riconciliazione, consapevolezza, abitudini mentali alla felicità, gratitudine e nuove frontiere della ricerca sulla felicità. Ovviamente, come per tutti i corsi, alla fine c’è anche l’esame.

Brad Rassler è un giornalista del Guardian che ha deciso di seguire il corso dall’inizio alla fine. Quello che ha imparato l’ha scritto in un articolo e ha racchiuso il corso sull felcità in dieci perle.

Se sei felice, probabilmente lo sai

Prima di tutto, per misurare la felicità bisgogna saperla definire. Il che è più complesso di quanto possa sembrare. Per alcuni è l’opposto della preoccupazione: stare bene in salute e non avere problemi. Per altri, la felicità sta nel vivere una vita significativa che si completi nel dare agli altri.

Per la professoressa di psicologia positiva alla UC Riverside Sonja Lyubomirsky, la felicità è “l’esperienza della gioia, della contentezza e del benessere positivo, unita alla sensazione che la propria vita sia bella, significativa e utile”. Come si fa a sapere se qualcuno è felice? La tecnica dei ricercatori è una: chiederglielo.

L’intimità risale all’infanzia

La teoria dell’attaccamento, sviluppata nel 1969, suggerisce che la qualità delle attenzioni che riceviamo dai nostri caregiver primari può influenzare l’intimità e le connessioni sociali da adulti, importante fattore per determinare benessere, salute fisica e aspettative di vita.

I bambini che hanno ricevuto attenzioni costanti dai loro caregivers tendono ad avere nella vita relazioni più forti e a essere più fiduciosi. Quelli che invece non sono stati cresciuti in modo premuroso, potrebbero comportarsi alla stessa maniera nel corso della loro vita. Ma secondo gli studi quel ciclo può essere interrotto, se ci si applica.

No, i soldi non fanno la felicità

Sempre secondo i ricercatori, chi ha più soldi non è detto che sia più felice degli altri. Ovviamente il denaro aiuta, ma non è tutto. Il premio Nobel Kahneman, nel 2010, ha fissato lo stipendio perfetto a 75mila sterline l’anno. La felicità dipende dai soldi fino a quel punto, poi si ferma.

Secondo gli studi, ci abituiamo ai cambiamenti improvvisi nelle nostre vite (come vincere la lotteria) per un fenomeno chiamato adattamento edonico. La buona notizia è che se un fatto positivo e inaspettato non ti rende felice, allora nemmeno la tragedia ti affonderà del tutto.

La felicità è sfuggente

Ormai dovremmo già sapere che acquistare cose costose non è detto che ci porti alla felicità. Anzi. Il fatto è che molti di noi sono particolarmente bravi a prendere decisioni sbagliate: ci lasciamo sfuggire le opportunità che potrebbero aiutarci a essere felici (come trascorrere del tempo con amici o familiari, per esempio) e investiamo in cose che in realtà sono utili solo in superficie, ma che non contribuiscono positivamente al nostro bilancio di felicità.

La pratica della felicità

Molti studiosi si rifanno alla teoria del “punto di partenza”, secondo cui i nostri livelli di felicità genetica interna siano più o meno predeterminati. E probabilmente avete già sentito che la genetica è responsabile del 50 per cento della nostra felicità. Sempre Sonja Lyubomirsky avverte che, però, occorre pensare alla felicità come a una pratica permanente, al di là della genetica.

Ma non esiste una sola strada per la felicità: scienziati come Keltner e Simon-Thomas consigliano di utilizzare un approccio progettuale per raggiungere la felicità: “Pensatelo come un esperimento scientifico personale. È come se aveste tutti gli ingredienti e un paio di ricette. Potete provarle e vedere quali hanno un sapore migliore”.

La gratitudine è un’ottima arma per la felicità, ma senza esagerare

A colpire in modo particolare il giornalista del Guardian è stata proprio questa regola. Riconoscere quello che hai, anche quando ti sembra che sia pochissimo. Una tecnica semplice, veloce, efficace. Uno studio dimostra che contare le cose che vanno bene aumenta l’effetto positivo.

Mettere in pratica questa tecnica è semplice: alla fine della giornata, basta fermarsi un attimo e riconoscere tutte le cose positive che ci sono capitate durante la giornata. Ma i ricercatori spiegano che non bisogna eccedere: basteranno tre volte a settimana.

Simon-Thomas ha spiegato infatti che “per la maggior parte delle cosiddette ‘pratiche di felicità’ c’è sempre il rischio di diminuire il rendimento con un eccesso della ripetizione, forzata o obbligatoria. Bisogna pensare a un esercizio di ginnastica – spiega ancora – fare continuamente lo stesso tipo di movimento rischia di fare male”.

Vai avanti e abbraccia la tua angoscia

I docenti della Berkeley hanno sottolineato che il fine ultimo del corso non è affatto quello di essere investiti da un’onda di felicità costante e infallibile. Le cadute, nella vita, sono naturali, fisiologiche: sono parte inevitabile dell’esistenza. “Angoscia e malinconia sono emozioni umane fondamentali che hanno un particolare scopo funzionale nella nostra traiettoria evolutiva”, spiegano.

Non farlo da solo

È vero che spesso siamo dei veri rompiscatole, ma la verità è che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Come hanno detto Simon-Thomas e Keltner, siamo ultrasociali e siamo programmati per connetterci tra di noi. Tra l’altro è la nostra storia evolutiva che lo dimostra con chiarezza: da che tempo è tempo, ci siamo sempre riuniti intorno a falò, reali o virtuali che siano. La scienza ci viene in supporto quando ammettiamo che l’ossitocina (meglio noto come il farmaco d’amore) viene rilasciata quando collaboriamo e ci divertiamo, insieme.

Essere qui, ora

Essere consapevoli è da sempre uno dei modi più efficaci per “curare” la psiche. Concentrarsi sul momento presente, infatti, è un espediente usato da migliaia di anni per calmare le menti. Gli scienziati sostengono che la consapevolezza ci auta a trovare la strada del benessere, tende a ridurre lo stress, a diminuire la depressione e – udite udite – addirittura a rallentare l’invecchiamento.

Lasciarsi affascinare dalla natura, ridere e rilassati

EO Wilson, biologo evoluzionista, ha coniato il termine “biofilia”, che sarebbe l’istinto dell’umanità di fondersi con altre forme di vita. Keltner definisce il fenomeno chiamato awe “la sensazione di essere in presenza di qualcosa di grande, di più grande di sé, che supera le attuali strutture di conoscenza”.

Abbracciare una sequoia gigante, sciare sotto l’aurora boreale, vagare per la natura selvaggia, ad esempio: proviamo a entrare in contatto diretto con la natura e scopriremo che raggiungere il benessere può essere più semplice di quanto pensiamo. Così come ridere e giocare, attività che rivestono un ruolo importante, a tratti determinante per raggiungere la felicità.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Exit mobile version