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Perché sempre più donne in Giappone decidono di divorziare

Credit: afp

La società giapponese obbliga la donna, una volta che si è sposata, a prendere il cognome del marito. Da quel momento il suo nome e la sua identità da nubile spariscono quasi interamente. Per questo, nonostante molte coppie siano felici, diverse donne stanno optando per un divorzio formale, sia pure celato a famiglie e parenti, pur di recuperare il proprio cognome

Di Camilla Palladino
Pubblicato il 23 Feb. 2018 alle 10:51 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 19:21

Dal 1898 una legge del Giappone prevede che, una volta sposati, marito e moglie debbano condividere lo stesso cognome.

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Nella schiacciante maggioranza dei casi, è la moglie ad adottare il cognome del marito, anche se ci sono rarissimi casi in cui accade il contrario.

Le donne possono ricominciare a utilizzare il proprio cognome solamente dopo il divorzio e, in più, la legge non prevede lo stesso trattamento se il matrimonio avviene con una persona straniera che non è originaria del Giappone.

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Masaka Yamaura è una donna giapponese che ha 33 anni ed è madre di un figlio. Si è sposata nel 2011 e, come la legge prevede, ha adottato il cognome del marito, Takahashi.

Sebbene a Yamaura sia stato permesso di utilizzare il proprio cognome da nubile presso la piccola azienda per la quale lavorava, col tempo la donna si è sentita spogliata della propria identità, dal momento che in tutte le questioni burocratiche e governative in cui le è capitato di imbattersi doveva poi utilizzare il cognome Takahashi.

“Mi sembrava di aver vissuto come una persona diversa. ‘Takahashi’ e ‘Yamaura’ sono totalmente diversi”, ha raccontato a Quartz.

Utilizzare un cognome che non è il proprio, secondo Yamaura, era “offensivo per il suo senso di identità”.

È per questo che la donna, dopo essere riuscita a convincere faticosamente il marito, ha preso la più drastica delle decisioni: i due hanno deciso di divorziare nel 2015, per permettere alla donna di ricominciare a utilizzare legalmente il proprio cognome.

Ad oggi Takahashi e Yamaura continuano a vivere sotto lo stesso tetto con il loro figlio, ma nessuno dei due ha osato spiegare la situazione ai propri genitori.

In Giappone, infatti, gran parte della società vive ancora sotto i rigidi canoni conservatori, e la maggioranza delle persone crede che sia giusto che le donne sposate adottino il cognome del proprio marito.

L’esperienza di Yamaura è insolita, ma riflette anche il desiderio di un numero crescente di donne giapponesi di affermare la propria indipendenza nel loro matrimonio attraverso l’atto di mantenere il proprio nome.

A gennaio, una giudice della Corte suprema del Giappone ha dichiarato pubblicamente di aver continuato a usare il suo nome da nubile dopo il matrimonio, per emettere le sentenze.

Secondo una recente legge, infatti, gli avvocati possono usare i loro nomi antecedenti al matrimonio per denunce legali e altri documenti.

Da settembre anche i giudici sono stati autorizzati a farlo, e Yuko Miyazaki, a 66 anni, è stata la prima giudice ad applicare la legge, anche per il fatto che dopo il matrimonio era venuta a sapere dal suo mentore dell’università che ogni ricerca che aveva firmato prima di sposarsi non era più valida.

Nonostante la recente spinta a cambiare la legge giapponese sui cognomi, Yamaura ha detto di essere “abbastanza pessimista” sulla prospettiva di un vero cambiamento.

I dati, invece, fanno sperare: uno studio pubblicato a febbraio 2018 dal gabinetto giapponese ha mostrato che il 42,5 per cento degli intervistati di età superiore ai 18 anni vorrebbe che si effettuasse una revisione della legge per consentire alle coppie sposate di mantenere il proprio nome.

La percentuale è cresciuta di sette punti rispetto al 2012, mentre la percentuale dei contrari, parallelamente, si è abbassata dello stesso margine.

I risultati dello studio, comunque, contrastano con il pensiero del partito liberal-democratico che attualmente si trova al governo.

Una precedente protesta sulla legge, effettuata nel 2011 da cinque donne sulla base della discriminazione di genere, non aveva prodotto alcun effetto.

“Attraverso la mia ricerca sul cambiamento di cognome, ho scoperto che uomini e donne hanno diritti diversi in Giappone. Voglio esprimere la mia opinione, voglio protestare, anche se ciò comporta gravi inconvenienti”, ha affermato Yamaura.

E anche se gli uomini potrebbero scegliere di prendere i nomi delle loro mogli in Giappone, in realtà quelli che lo fanno sono visti “in modo negativo” come “uomini che obbediscono alle donne”, ha aggiunto.

Nonostante le sia costato, anche economicamente, non poco cambiare il proprio nome su carte di credito e documenti, e attualmente non goda degli stessi diritti e agevolazioni delle persone sposate, Yamaura sta portando avanti la sua protesta per ottenere i diritti che le spettano.

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