Quando il professor Mwesigye della Aga Khan Primary School di Kampala chiese agli studenti di origine indiana della sua classe di alzare la mano per un censimento interno ordinato dal preside, l’allora dodicenne Zohran Mamdani rifiutò. «Non sono indiano, sono ugandese», rispose l’alunno alla richiesta di spiegazioni da parte del docente. «In Uganda ero un indiano, in India ero un musulmano e a New York ero tutto tranne che un newyorkese», dirà più tardi il prossimo sindaco della Grande Mela. Per i suoi avversari politici invece, Donald Trump in testa, è semplicemente un «comunista» o addirittura, come l’accusa il ministero degli Esteri di Israele, un «portavoce della propaganda di Hamas». Lui, che ha definito la causa palestinese «una forza trainante» per il suo impegno civile, si definisce un «socialista democratico». Ma la politica è solo l’ultimo capitolo della vita del sindaco più giovane mai eletto a New York dal 1892, che è diventato cittadino statunitense appena sette anni fa.
Un lungo peregrinare
Anche se Mamdani ha trascorso la maggior parte dell’adolescenza nel quartiere di Morningside Heights a Manhattan, è arrivato nella Grande Mela con la sua famiglia a sette anni. È nato nell’ottobre del 1991 nella capitale ugandese, dove ha vissuto i primi cinque anni della sua vita, tornandoci spesso, l’ultima volta a luglio per sposarsi con l’illustratrice statunitense di origini siriane Rama Duwaji. Qui i genitori possiedono ancora una villa con cinque camere da letto, quattro bagni, oltre ottomila metri quadri di giardino e una vista mozzafiato sul lago Vittoria, situata nel ricco sobborgo di Buziga Hill. Per due anni poi è cresciuto a Città del Capo, nel Sudafrica post-apartheid governato da uno dei suoi idoli, Nelson Mandela, prima di approdare a New York.
Figlio unico, appassionato di calcio (tifa Arsenal e possiede una quota popolare del club spagnolo Real Oviedo), Zohran ha origini molto particolari. Il padre Mahmood, nato a Mumbai prima dell’indipendenza dell’India dall’impero britannico, è cresciuto a Kampala in una famiglia musulmana sciita della diaspora indiana proveniente dalla comunità Khoja del Gujarat. Espulso nel 1972 dal dittatore Idi Amin insieme ad altri 50mila asiatici con passaporto britannico, nel 1984, mentre partecipava a una conferenza a Dakar, in Senegal, gli fu anche revocata la cittadinanza ugandese dal governo di Milton Obote per le sue continue critiche all’esecutivo. Antropologo e professore universitario di studi post-coloniali, è potuto tornare in Uganda dall’esilio solo nel 1986 ma ha trascorso buona parte della sua carriera tra le università di Dar es Salaam, Città del Capo e altre grandi città in Africa e Asia, fino ad approdare nel 1998 alla Columbia University di New York. Motivo del lungo peregrinare della famiglia e per cui, oltre all’inglese, il figlio Zohran parla anche hindi e swahili, si fa capire in arabo e comprende persino il dialetto luganda. Così si spiega inoltre il suo secondo nome: un omaggio al rivoluzionario panafricanista, indipendentista e primo presidente ghanese dopo l’indipendenza da Londra, Kwame Nkrumah, vero punto di riferimento intellettuale per suo padre.
La madre Mira Nair invece è nata in Orissa, nell’est dell’India, da una famiglia indù di origini Punjabi proveniente dalla capitale Delhi. Apprezzata regista, è stata candidata ai premi Oscar per il film “Salaam Bombay!” e ha vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia per “Monsoon Wedding”, dirigendo anche attori del calibro di Denzel Washington in “Mississippi Masala”. Da lei Zohran ha ereditato la vena artistica che ha caratterizzato la prima parte della sua vita: con un amico conosciuto in Uganda infatti, il rapper Hab (Abdul Bar Hussein), si è cimentato per anni sulla scena hip hop, prima con lo pseudonimo di Young Cardamom e poi con quello di Mr. Cardamom, con cui ha pubblicato alcuni brani, tra cui “#1 Spice” per il film “Queen of Katwe” diretto nel 2016 da sua madre. Ma l’impegno civico è diventato presto la sua vera passione.
Dalla musica alla politica
Se durante i suoi tanti viaggi al seguito dei genitori aveva frequentato diversi istituti, a New York seguì la Bank Street School for Children, dove metà della retta era pagata dalla Columbia University (che intanto aveva anche trovato un appartamento a Manhattan per lui e i suoi genitori) e si adottava una visione molto progressista dell’istruzione. Qui, ha ricordato Zohran a Time Magazine, le gare di ginnastica finivano sempre in parità, anche quando una squadra era chiaramente «arrivata vincitrice». In seguito si iscrisse alla Bronx High School of Science, una delle più note e severe scuole pubbliche della città, dove per la prima volta si candidò come vicepresidente del corpo studentesco.
Quindi, dopo il diploma, fu ammesso allo storico Bowdoin College di Brunswick, nel Maine, dove è stato tra i fondatori della prima sezione locale dell’associazione “Students for Justice in Palestine”. Qui si è laureato nel 2014 in studi africani con una tesi sulla governance, lavorando poi anche nella redazione della rivista settimanale Bowdoin Orient e partecipando da attivista a diverse campagne elettorali di candidati cittadini progressisti, tutti sconfitti alle urne. In seguito ha trascorso un anno a lavorare come consulente immobiliare per la prevenzione di sfratti e pignoramenti presso la Chhaya Community Development Corporation a Jackson Heights, nel Queens. Ormai l’impegno civico stava prendendo sempre più il sopravvento sulla sua carriera artistica ma fu proprio la musica a ispirarlo.
Le origini dell’impegno civico
«Cominciai a impegnarmi in politica nel 2015, quando presi una copia del The Village Voice dove lessi che Heems (Himanshu Suri, co-fondatore dei gruppi Das Racist e Swet Shop Boys, ndr), uno dei miei rapper preferiti, sosteneva un suo amico d’infanzia», ha spiegato Mamdani a luglio a Radio Hot 97. Così quell’anno Zohran si unì ai volontari della campagna di Ali Najmi, candidato consigliere comunale per il 23esimo distretto a Queens, che poi non fu eletto. Allora però, come emerge dal suo profilo X (ex Twitter), Mamdani sembrava ancora più interessato alla musica che alla politica, twittando regolarmente al suo rapper preferito e suggerendogli idee di marketing, senza mai ricevere risposta. Quella prima esperienza però cambiò la sua vita.
L’anno successivo, prima ancora di ricevere la cittadinanza, si lasciò ispirare dalla campagna presidenziale del senatore democratico Bernie Sanders. Fu allora, come rivelò qualche anno fa in un’intervista a Jacobin, che cominciò a definirsi un «socialista». Nel 2017 poi si impegnò per il pastore luterano di origini palestinesi Khader El-Yateem, candidato alle primarie per il consiglio comunale di Bay Ridge, che non fu eletto. Trasferitosi intanto ad Astoria alla fine del 2018, continuava a lavorare per l’organizzazione Chhaya e, con lo pseudonimo di Mr. Cardamom, trovò anche il tempo di pubblicare “Nani”, un brano da solista dedicato alla nonna. Ma fu l’ultimo sussulto da artista: proprio allora divenne responsabile della fallita campagna elettorale del candidato democratico Ross Barkan al Senato statale di New York e l’anno dopo di quella ugualmente infruttuosa di Tiffany Cabán per la carica di procuratore distrettuale.
Ottenuta finalmente la cittadinanza, nel 2019 decise di candidarsi in prima persona: allora, con la campagna “Roti & Roses” vinse le primarie contro la candidata democratica in carica per cinque mandati Aravella Simotas e l’anno dopo ottenne il seggio del 36esimo distretto (in rappresentanza di Astoria e Long Island City) all’Assemblea dello Stato di New York, sulla base di un programma di riforma abitativa, della polizia, delle carceri e dei servizi di trasporto pubblico, che lo accompagnerà poi fino al municipio.
La First Lady della Gen Z
Intanto nel 2021, come capita alla sua generazione, aveva conosciuto sull’app Hinge la sua futura moglie, Rama Duwaji, con cui si è sposato quest’anno. «C’è ancora speranza in quelle applicazioni», scherzò prima delle elezioni al podcast The Bulwark. Nata a Houston, in Texas, come lui anche la 28enne di origini siriane è cresciuta in giro per il mondo: a nove anni si è trasferita a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, con i genitori, il padre sviluppatore di software e la madre medico. Qui ha trascorso l’adolescenza e alla fine del liceo ha scelto di intraprendere un percorso artistico: «Quando disegno, il tempo scorre veloce», raccontò nel 2020 al podcast The Amad Show. In seguito si spostò in Qatar per seguire il primo anno di college alla Virginia Commonwealth University School of the Arts a Doha. Ma poi decise di completare gli studi presso il campus principale dell’università americana a Richmond, in Virginia. Laureatasi nel 2019 in comunicazione, tornò con la sua famiglia a Dubai e poi visse tra Beirut e Parigi, prima di arrivare a Brooklyn nel 2021.
Qui, oltre a conoscere il futuro sindaco, riprese gli studi, laureandosi lo scorso anno presso la School of Visual Arts di New York. La coppia ufficializzò la propria unione con un post di Mamdani su Instagram del 21 ottobre 2024, in cui Zohran definiva Rama Duwaji «la luce della mia vita». Due giorni dopo lui ufficializzò la propria candidatura alle primarie democratiche. Rieletto anche nel 2022 e 2024 all’Assemblea statale, il compagno e poi marito era infatti pian piano diventato uno dei punti di riferimento dei Democratic Socialists of America (Dsa), imponendosi a livello locale e cominciando a farsi conoscere anche sulla scena nazionale. Lei invece, al di là di qualche post sui social e di poche presenze a eventi pubblici, non sembra amare apparire come la sua spalla, non avendo partecipato né in estate né in autunno ad alcun evento elettorale dopo la vittoria del marito alle primarie. «Non mentirò, la situazione a New York è davvero buia in questo momento», spiegò Rama Duwaji ad aprile alla rivista d’arte, musica e moda Yung distribuita in Medio Oriente e Africa. «Sono preoccupata per i miei amici e la mia famiglia, e la situazione sembra completamente fuori dal mio controllo», aggiunse, parlando delle retate anti-immigrati volute da Donald Trump. «Tutto ciò che posso fare è usare la mia voce per parlare il più possibile di ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, in Palestina e in Siria». Ma il suo è tutt’altro che disimpegno: «Il dovere di un artista è quello di riflettere i tempi», affermò allora Duwaji, citando la musicista Nina Simone. «Tutti hanno la responsabilità di denunciare l’ingiustizia e l’arte ha la capacità di diffonderla». Ora però stava al marito combatterla in prima linea, anche perché erano in tanti a chiederglielo.
Un outsider al Municipio
Il nome di Zohran Mamdani infatti, come ricostruito dalla Cnn dopo la vittoria del neoeletto sindaco sull’ex governatore democratico Andrew Cuomo e sul repubblicano Curtis Sliwa, fu tra i primi a circolare durante l’incontro preliminare organizzato a porte chiuse dal Working Families Party nel novembre 2023 dopo la deflagrazione dello scandalo che avrebbe portato alla fine politica dell’allora sindaco democratico Eric Adams, avversato dalla sinistra del partito. Proprio da quelle prime riunioni cominciò infatti una corsa che, con l’appoggio sia del senatore Bernie Sanders che della deputata Alexandria Ocasio-Cortez, avrebbe portato il 34enne a vincere le primarie democratiche e poi le elezioni di novembre, nonostante le decine di milioni di dollari spesi dai suoi avversari contro la sua campagna incentrata sulla lotta alla povertà e la redistribuzione della ricchezza e l’opposizione di importanti personaggi del suo stesso partito come la governatrice Kathy Hochul.
Le raccolte fondi affollate da piccoli donatori, che solo per le primarie gli hanno fatto incassare in appena tre mesi oltre 8 milioni di dollari da 180mila persone e altrettanti per le elezioni municipali; un esercito di giovani volontari pronti a distribuire volantini e a riunire gente in piazza; e una campagna condotta quasi porta a porta, strada per strada, negozio per negozio in prima persona dal candidato hanno convinto sempre più elettori, permettendogli così di passare da outsider destinato a raccogliere poco più dello zero virgola a favorito. Il suo segreto, come spiegò lui stesso al britannico The Guardian prima delle primarie, è ascoltare, soprattutto le periferie. «Sono andato a Fordham Road nel Bronx e a Hillside Avenue nel Queens, e ho chiesto a questi newyorkesi, la maggior parte dei quali democratici, per chi avevano votato e perché. Ho scoperto che molti non avevano votato proprio e tanti avevano scelto Trump e lo avevano fatto perché ricordavano di avere più soldi in tasca quattro anni prima», ricordò a giugno Mamdani. «È così che abbiamo condotto questa corsa».
Il suo punto di forza allora sono diventate le proposte. Il neosindaco ha infatti promesso, tra l’altro, trasporti pubblici gratuiti per i residenti; la costruzione di oltre 200mila nuovi appartamenti da mettere sul mercato a canoni calmierati; il blocco degli affitti per un milione di inquilini; l’apertura di supermercati pubblici che vendano a prezzi all’ingrosso; l’assistenza pediatrica gratuita; l’aumento progressivo del salario minimo orario fino a 30 dollari entro il 2030; l’incremento fino all’11,5% dell’imposta sulle imprese e un’aliquota del 2% per chi ha un reddito annuo superiore al milione di dollari. «C’è un mito su questa città, che persiste da troppo tempo: è la menzogna secondo cui la vita a New York deve essere dura. Non ci credo nemmeno per un istante», disse qualche anno fa Mamdani. Avrà l’occasione di dimostrarlo e, al momento, sembra più concentrato che mai: «C’è una copertina del New Yorker in cui il mondo finisce nel New Jersey», ha confidato dopo la sua vittoria al portale Politico. «È così che cerco di pensare ai prossimi giorni. A mio avviso, quello che conta è riportare la nostra attenzione sui lavoratori, quella attenzione all’accessibilità economica che è dolorosamente mancata».