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    La fotoreporter della Reuters: “Non posso continuare a lavorare per un’agenzia che giustifica l’assassinio di 245 giornalisti a Gaza”

    La protesta di Valerie Zink diventa virale sui social

    Di Niccolò Di Francesco
    Pubblicato il 26 Ago. 2025 alle 15:19 Aggiornato il 26 Ago. 2025 alle 15:21

    È diventata virale sui social la protesta di Valerie Zink, fotoreporter canadese della Reuters, che ha deciso di interrompere la sua collaborazione con l’agenzia di stampa accusandola di “giustificare e favorire”
l’uccisione sistematica di giornalisti a Gaza da parte di Israele. In un post pubblicato sul suo profilo Facebook, Zink, che ha lavorato per il New York Times, Al Jazeera e altre testate in Nord America, Europa e Asia ha annunciato la sua intenzione di non lavorare più per la Reuters, dopo otto anni di collaborazione, accusando l’agenzia di stampa di “giustificare e favorire” 
l’uccisione sistematica di giornalisti a Gaza da parte di Israele.

    “A questo punto mi è diventato impossibile mantenere un rapporto con la Reuters 
- scrive la fotoreporter – visto il suo ruolo nel giustificare e consentire l’assassinio sistematico di 245 giornalisti a Gaza. Devo ai miei colleghi in Palestina almeno questo, e molto altro. Quando Israele ha ucciso Anas Al-Sharif, insieme a tutto l’equipaggio di Al-Jazeera a Gaza City
il 10 agosto scorso, la Reuters ha scelto di pubblicare l’affermazione interamente infondata 
di Israele secondo cui Al-Sharif fosse un agente di Hamas – una delle innumerevoli bugie 
che i media come Reuters hanno dovuto ripetere”.

    Zink, inoltre, ha condannato la risposta di Reuters all’uccisione di un suo cameraman nel raid israeliano sull’ospedale Nasser di Khan Yunis in cui sono morte 20 persone, tra cui 5 giornalisti. “I media occidentali sono direttamente responsabili 
di aver creato le condizioni in cui ciò può accadere” ha scritto la fotoreporter. Secondo Valerie Zink,i media occidentali, ripetendo le affermazioni dell’esercito israeliano 
senza verificarle, hanno “reso possibile l’uccisione di più giornalisti in due anni su una piccola striscia di terra rispetto a quanto avvenuto nella Prima e Seconda Guerra Mondiale, in Corea, Vietnam, Afghanistan, Jugoslavia e Ucraina messe insieme”.

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