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    L’Unione europea può obbligare gli stati membri ad accogliere i richiedenti asilo

    Credit: Reuters

    La Corte di giustizia europea ha rigettato il ricorso di Slovacchia e Ungheria contro le quote sui richiedenti asilo da ospitare

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 6 Set. 2017 alle 13:15 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:52

    La Corte di giustizia europea ha rigettato il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro la decisione della Commissione europea di ricollocare in tutti i paesi dell’Unione una parte dei richiedenti asilo, almeno 160mila persone, giunti soprattutto in Grecia e in Italia al culmine della crisi migratoria del 2015.

    Il tribunale ha rifiutato le obiezioni dei due paesi dell’est Europa contro il regime obbligatorio delle quote, fissato da Bruxelles con la decisione 1601 del Consiglio dei capi di stato e di governo del 22 settembre 2015.

    “Il Consiglio può costringere gli stati membri a dar prova di solidarietà e ad assumersi la loro parte di responsabilità al fine di far fronte a una situazione di emergenza”, si può leggere nella sentenza della Corte europea.

    Perché alcuni paesi si oppongono al ricollocamento

    Da quando questa misura è stato introdotta però, i paesi dell’est, in particolare quelli del gruppo di Visegrád – Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria –, si sono da subito opposti all’accordo raggiunto tra la Commissione e i paesi del sud Europa.

    L’Ungheria in particolare, guidata dal primo ministro conservatore Viktor Orbán, non ha accettato un solo richiedente asilo negli ultimi due anni. Il governo di Budapest aveva anche organizzato un referendum a riguardo nell’ottobre 2016, che però non ha raggiunto il quorum necessario.

    Nonostante il fallimento formale della consultazione, il 43,23 per cento degli aventi diritto avevano partecipato al voto e, di questi, il 98 per cento aveva espresso la propria contrarietà al programma di ricollocamento voluto da Bruxelles.

    Persino l’Austria, un paese solitamente vicino alle posizioni degli stati del nord Europa, soprattutto della Germania, aveva chiesto un’esenzione dal piano di redistribuzione nel marzo 2017.

    La decisione della Commissione europea si inseriva nel quadro delle misure decise per alleviare la pressione sui paesi allora in prima linea durante la crisi come Grecia e Italia. Questo programma ha portato all’effettivo trasferimento di appena 28mila richiedenti asilo sugli oltre 160mila previsti dal piano di Bruxelles del settembre 2015.

    I funzionari dell’Unione hanno sempre insistito sull’obbligatorietà del regime di ricollocamento per tutti gli stati membri, indipendentemente dal fatto che avessero votato o no a favore di questa misura in Consiglio europeo. L’Ungheria, la Slovacchia, la Repubblica ceca e la Romania avevano infatti votato contro le quote di accoglienza previste dalla Commissione.

    I governi di Budapest e Bratislava sostenevano che le decisioni di Bruxelles avrebbero esposto i propri paesi al rischio di subire attentati da parte di gruppi terroristici di ispirazione islamista e che l’accoglienza di persone proveniente da nazioni culturalmente tanto lontane rappresentava una minaccia per società così omogenee.

    Ungheria e Slovacchia, di fronte alla Corte di giustizia europea, hanno sollevato dubbi su errori procedurali durante l’approvazione del piano e hanno chiesto di abolire il regime delle quote obbligatorie, sostenendo che non rappresentassero una risposta adeguata alla crisi migratoria.

    Ma i giudici hanno respinto il ricorso contro il meccanismo provvisorio di delocalizzazione obbligatoria dei richiedenti asilo, riferendosi alle quote fissate sulla base di una chiave di distribuzione definita “proporzionata” dalla Corte.

    “Al fine di assicurare l’equità della ripartizione della responsabilità, tale chiave di distribuzione tiene conto della popolazione complessiva, del prodotto interno lordo, della media delle domande di asilo per milione di abitanti nel periodo 2010-2014 e del tasso di disoccupazione”, si legge nella sentenza.

    “Su tale base, detta chiave di distribuzione contribuisce dunque al carattere proporzionato della decisione impugnata”. La Corte ha quindi condannato Budapest e Bratislava al pagamento delle spese del procedimento.

    Le reazioni degli altri paesi europei

    Il primo ministro slovacco Robert Fico ha detto che rispetta la decisione della Corte ma che il governo di Bratislava non cambierà la sua posizione politica in materia. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó ha definito “spaventosa” la sentenza. “La politica ha violentato le leggi e i valori europei”, ha detto Szijjártó, sostenendo che i giudici non hanno deciso su una base legale, ma politica.

    Il ministro degli Esteri tedesco invece, il social-democratico Sigmar Gabriel, ha chiesto a tutti gli stati di rispettare la sentenza e implementare il più presto possibile il piano. “Ho sempre detto ai nostri partner dell’Europa orientale che è giusto chiarire le questioni legali ove ci sia un dubbio, ma tutti i partner europei sono tenuti a rispettare la sentenza e ad applicare senza indugio gli accordi”, ha detto Gabriel.

    Questo meccanismo stabilito dalla Commissione è stato il primo esempio concreto di solidarietà politica tra gli stati membri in materia di immigrazione. La decisione della Corte di Giustizia di legittimare l’obbligatorietà delle quote è importante da un punto di vista giuridico, ma non risolve gli attriti tra i paesi dell’est e il resto dell’Unione.

    Gli stati appartenenti al gruppo di Visegrád pongono da sempre l’accento sulla necessità di un maggiore controllo delle frontiere esterne per contrastare gli arrivi e non sono intenzionati a rispettare gli accordi in materia che non hanno approvato in Consiglio europeo.

    Ora, il tema dell’imposizione a questi governi dell’accoglienza dei richiedenti asilo rappresenta una sfida per le istituzioni europee e quei paesi, come la Germania, che hanno da subito sostenuto la Commissione nella redazione di questo piano.

    I numeri

    Dal 2014, l’Unione europea ha accolto, nel suo complesso, oltre il 1,7 milioni di persone dal Medio Oriente e dall’Africa. Ma dopo un afflusso di massa nel 2015, i numeri sono scesi costantemente a seguito dell’accordo concluso con il governo di Ankara nel 2016 e che ha chiuso la rotta nel mar Egeo tra la Turchia e la Grecia.

    Inoltre il piano di sostegno dell’Unione e dell’Italia per rafforzare il governo di Tripoli in Libia ha frenato diversi barconi dall’attraversare il canale di Sicilia. Nonostante il calo avvenuto tra luglio e agosto però, gli sbarchi in Italia nel 2017 sono diminuiti solo del 6,8 per cento rispetto all’anno precedente.

    Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni quest’anno sono giunti sulle coste italiane almeno 99.846 migranti, contro i 105.357 nello stesso periodo del 2016, mentre sono state 2.364 le persone morte mentre cercavano di raggiungere l’Italia.

    Credit: OIM
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