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    Una prigione per giornalisti

    La Turchia scende al 154esimo posto per la libertà di informazione nella classifica di Reporter senza Frontiere

    Di Michele Teodori
    Pubblicato il 25 Lug. 2013 alle 10:31 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:51

    La Turchia è scesa al 154esimo posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa compilata dall’associazione Reporter senza frontiere. L’organizzazione ha dichiarato che la Turchia è attualmente la “più grande prigione al mondo per giornalisti.”

    Il rapporto accusa la Turchia di non essere all’altezza delle sue aspirazioni di “modello regionale”, nonostante la variegata e vivace pluralità di media presenti nel Paese. Lo Stato turco è stato criticato per una “paranoia della sicurezza, che ha la tendenza a vedere ogni critica come un complotto ordito da una varietà di organizzazioni illegali”. La sindrome in corso si è intensificata durante lo scorso anno, segnato da una “crescente tensione sulla questione curda“, ha detto l’organizzazione.

    Proprio martedì il principale leader dell’opposizione in Turchia aveva accusato il primo ministro Erdogan di intimidire i media locali e costringerli all’ auto-censura, dopo che decine di giornalisti sono stati licenziati per i loro servizi sulle proteste anti-governative.

    L’Unione dei Giornalisti Turchi (Tgs) ha detto che almeno 72 reporter sono stati licenziati, costretti a prendere ferie o avevano rassegnato le dimissioni nelle ultime sei settimane dall’inizio dei disordini diffusi nelle città di tutto il Paese.

    “Stiamo affrontando un nuovo periodo in cui i media sono controllati dal governo e dalla polizia. La maggior parte dei padroni dei media prendono ordini da autorità politiche” ha detto Kemal Kilicdaroglu, capo del partito di opposizione.

    Erdogan aveva definito i manifestanti del mese scorso come una “marmaglia” manipolata da “terroristi”, e aveva accusato i media stranieri e locali di incitare ai disordini. Il suo governo sostiene che la maggior parte dei giornalisti arrestati sono detenuti per reati gravi, come l’appartenenza a un gruppo terroristico armato, e che non hanno nulla a che fare con il mondo del giornalismo.

    I media principali, molti di proprietà di grandi gruppi legati al primo ministro, si sono autocensurati riguardo alle recenti proteste, riportando gli scontri solo dopo che lo stesso Erdogan ha commentato le insolite scene di caos e disordini. Per questo motivo molti turchi sono stati costretti a utilizzare i social media per seguire gli eventi.

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