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    Un antisemita a Londra

    Il leader dell’ultradestra ungherese va a caccia di voti in Inghilterra alla vigilia della Giornata della Memoria

    Di Davide Lerner
    Pubblicato il 27 Gen. 2014 alle 10:19 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:43

    In Inghilterra è sbarcato Gabor Vona, leader del partito neonazista ungherese Jobbik, per un comizio nella capitale alla vigilia della Giornata della Memoria. Formazione politica esplicitamente razzista, antisemita e omofoba, Jobbik è il terzo partito d’Ungheria con 50 seggi in parlamento e il 17 per cento dei voti. In passato il giovane leader si è detto favorevole a rinchiudere i Rom nei ghetti e, l’anno scorso, il suo braccio destro Marton Gyongyosi ha proposto la redazione di una lista di ebrei ungheresi che rappresenterebbero “una minaccia per la sicurezza nazionale”.

    L’annuncio della visita a Londra è arrivato nel contesto di una campagna per l’estensione del diritto di voto agli espatriati, che Gabor Vona ritiene essere un bacino di voti significativo per il suo partito. Durante la visita Vona incontrerà anche rappresentati di Alba Dorata e del British National Party, oltre a fare campagna elettorale per le imminenti elezioni Europee per i 50mila ungheresi che vivono stabilmente in Inghilterra. L’associazione “Hope not Hate”, indignata per l’arrivo del politico, ha inviato una petizione per la sua messa al bando al ministro dell’interno Theresa May. La May ha però ignorato le 14mila firme, e non è intervenuta per impedire l’assembramento.

    Alle 14 ora locale, alla stazione di Holborn, sono cominciati ad arrivare i simpatizzanti di Vona per il comizio. I giovani sostenitori di Jobbik sono stati attaccati da membri di gruppi anti-razzisti inglesi, che si sono radunati per protestare contro l’evento. Calci, pugni e sputi: le risse fra i più aggressivi dei manifestanti e i neonazisti hanno duramente impegnato gli uomini di Scotland Yard, almeno un centinaio. I poliziotti hanno formato un cerchio attorno ai sostenitori di Jobbik – poche decine – impedendo anche ai giornalisti di raggiungerli. All’esterno, molto più numerosi, i manifestanti intonavano cori contro di loro e contro i poliziotti colpevoli di proteggerli. “Per sconfiggere i razzisti non bastano le belle parole e le petizioni, come quella che “Hope not Hate” ha rivolto a Theresa May”, dice Wayman Bennetu di “United Against Fascism”. “Ci vuole mobilitazione, come quella che oggi impedirà a Vona di parlare”. “Non voglio nemmeno sentir nominare la libertà d’espressione”, dice invece un manifestante ungherese anti-Jobbik, “la libertà di parola non riguarda movimenti e partiti intolleranti che incitano all’odio”.

    Verso le 15, mentre si sparge la voce che il comizio sarebbe saltato, alla stazione di Holborn arriva invece un drappello di ebrei ultraortodossi. Colbacchi neri, barbe lunghe e pe’ot li rendono inconfondibili, ma non sono venuti per unirsi al raduno anti-Jobbik. I rabbini, che fanno parte dell’associazione “Jews United Against Zionism”, vogliono piuttosto manifestargli solidarietà. “Siamo stufi di sentire accuse di antisemitismo rivolte a politici che semplicemente detestano Israele”, dice il Rabbino Yisroel Dovid Weiss, “il sionismo prima e Israele poi sono la causa principale dell’antisemitismo nel mondo”. “La Shoah può essere interpretata come una punizione divina per il movimento sionista, che dall’Ottocento inquinava il popolo ebraico con la sua idea eretica di fondare uno stato prima dell’arrivo del Messia”.

    Il rabbino, che dice di aver incontrato Vona all’albergo Imperial poche ore prima e di essersi trovato d’accordo su molte cose, racconta di essere figlio di ebrei ungheresi emigrati appena in tempo in America. “Per poco non morirono anche loro con gli altri 600mila deportati dal paese”, dice, “ma si guardarono bene dall’andare in Israele”.

    Saltato il comizio di Holborn, Gabor Vona ha improvvisato un raduno di sostenitori a Hyde Park. La crescita impressionante del suo partito, che al contrario di quanto sostiene Rav Weiss è antisemita e non semplicemente anti-israeliano, è una testimonianza dell’attualità della Giornata della Memoria.

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