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    “Sogniamo una Turchia democratica con un’università libera. L’Europa guardi cosa ci sta facendo Erdogan”

    Credit: ansa foto

    Cihat Parilti è un cittadino turco costretto ai domiciliari per aver preso parte alle proteste in Turchia contro la nomina del rettore dell'Università Bogazici di Istanbul, decisa direttamente dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 8 Mar. 2021 alle 15:18

    “Il sogno dei giovani turchi oggi è quello di poter vivere in un paese democratico. Non c’è libertà accademica, non c’è istruzione e siamo costretti a lasciare la Turchia, cercando la libertà altrove. Si continuano ad aprire università a caso, ma non rappresentano un’istruzione libera. Quella manca, specie in ambito scientifico. Sogniamo la libertà. Sogniamo un futuro migliore”.

    Cihat Parilti ha 28 anni, è laureato in sociologia all’università di Istanbul e per mestiere fa l’attore. Dalla sua casa nel quartiere di Şişli ci contatta con una videochiamata per raccontarci cosa succede e perché dal 2 febbraio un ordine restrittivo gli impedisce di uscire dal suo comune.

    Cihat è uno dei tanti manifestanti che sono stati fermati e arrestati dalla polizia turca a partire dall’inizio del 2021. Lui, come molti altri studenti e cittadini, manifestava contro alcune scelte politiche che hanno riguardato l’università.

    Dall’inizio dell’anno infatti il mondo universitario turco è in rivolta. E’ iniziato tutto il 1° gennaio, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha nominato Melih Bulu, un politico del suo stesso partito (l’AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, di orientamento islamista e conservatore) come rettore dell’Università del Bosforo di Istanbul, la più prestigiosa del paese. Una nomina controversa, anche perché arrivata direttamente dal governo, scavalcando il principio di autonomia degli atenei. Ed è proprio questo il motivo che ha spinto studenti e cittadini a manifestare per le strade di Istanbul.

    A partire dal 4 gennaio hanno iniziato la loro protesta pacifica che da Istanbul si è estesa ad altre 35 città in tutto il paese. Agli studenti si sono uniti i professori universitari e cittadini come Cihat, tutti concordi nel chiedere le dimissioni del nuovo rettore e nuove elezioni universitarie, da svolgersi in maniera democratica e trasparente.

    Lo stato turco ha deciso di reprimere con la forza le proteste, che hanno condotto a centinaia di arresti in tutto il paese. I manifestanti sono stati definiti da Erdogan e dai suoi alleati come “vandali, terroristi e blasfemi”.

    “Ho iniziato a seguire le proteste sui social, poi un video mi ha colpito: i poliziotti intimavano ai manifestanti di abbassare lo sguardo. Mi è salita la rabbia e ho deciso di scendere in piazza”, racconta Cihat. “Mi hanno arrestato mentre ero in giro con altre persone, era appena entrato in vigore il divieto di assembramento e i poliziotti mi hanno fermato. Siamo tutti stati condotti al commissariato di Vatan. È lì che portano tutti gli studenti che manifestano, ed è sempre lì che avvengono torture e molestie sessuali”.

    Lo scenario che descrive Cihat a TPI è raccapricciante: “Eravamo oltre 100 persone. Quando siamo stati portati in cella, abbiamo visto condizioni disumane: escrementi ovunque, i bagni non erano agibili, c’era vomito dappertutto. Credevamo e speravamo di essere rilasciati in breve tempo, invece siamo rimasti lì 2 giorni”.

    “Al commissariato abbiamo assistito anche al tentativo dei poliziotti di perquisire una donna denudandola. La ragazza è riuscita a ribellarsi e a resistere. Volevano farla a tutte le donne. Eravamo in tanti e opponevamo resistenza in quel momento. In questo modo sono riusciti così a isolarci per farci pressioni psicologiche”.

    Cihat spiega che questa oppressione strisciante va avanti da anni in Turchia e ora che tocca spudoratamente l’università, la situazione è degenerata: “L’ondata di partecipazione ha coinvolto non solo gli studenti, ma tutti i cittadini. Da anni il partito AKP pro Erdogan cerca in ogni modo di reprimere tutto ciò che vogliamo fare, come studenti e come umani. Cercano di imporci il loro punto di vista. L’intenzione di Erdogan è quella di entrare in Europa, ma sta raccontando le cose in un altro modo. L’idea che vuole trasmettere è: noi stiamo provando a entrare ma sono loro che non vogliono. Oggi probabilmente ci sarà una repressione violenta, come è sempre accaduto d’altronde, e cercheranno di zittire soprattutto le donne”.

    E proprio le donne sono le più colpite dagli attacchi, secondo il racconto di Cihat e stando alle tante testimonianze esistenti. Molte di esse sono ancora agli arresti domiciliari, una mossa, spiegano gli attivisti, attuata per fermare le proteste. E invece anche oggi e proprio oggi, lunedì 8 marzo, giornata internazionale delle donne, le proteste vanno avanti. Con le donne e grazie alle donne.


    C’è attesa per la grande manifestazione di stasera prevista a Istanbul. “Erdogan sente e sa che sta perdendo consensi, e agisce in modo sempre più violento”, racconta Cihat. “Si sta cercando di demonizzare le donne collegandole al terrorismo del PKK. Dall’Italia e dall’Europa serve una pressione mediatica, per creare consapevolezza, bisogna mostrare cosa stiamo subendo!”.

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